Vivere con i più poveri è un’esperienza straordinaria, perché poco a poco si comprende un’altra verità, divulgata anch’essa da Gesù: i sapienti e gli intelligenti non riescono a capire i segreti del mondo. I segreti del mondo più inaccessibili sono invece aperti e palesi per i piccoli e i poveri.Mi spiegherò con un fatto. Quello di una donna della mia città, per esempio. Lei viene spesso a chiedere aiuto per comprare una misura di 20 chili di granoturco per i suoi 5 figli che sono in casa con lei, vedova. Li chiama affettuosamente figli, ma neppure uno è nato da lei. Sono i figli di sue sorelle, già defunte. Suo marito morì quand’era ancora giovane. Poi i vincoli del sangue la spinsero ad accogliere nella sua capanna gli orfani ancora piccoli delle sue sorelle: prima due, poi un altro, poi altri due. Il suo lavoro è coltivare un campo di riso e fare piccoli commerci: comprare un sacco di arance e poi rivenderle a due o tre alla volta, seduta su un marciapiede; oppure un cesto di pomodori e poi portarli al mercato, e così via.Alcuni mesi fa mi stupì perché, invece di chiedermi i soliti 300
meticais (la valuta corrente in Mozambico,
ndr) per il granturco, me ne chiese 1200. Rimasi sorpreso! «Devo andare a Beira, nella provincia vicina, a raccogliere i due figli piccoli della mia ultima sorella». «Ma ne ha già 5! Come farà a dar loro da mangiare?». «Non importa. Sono i figli di mia sorella!». Se non fosse stata così povera, come avrebbe potuto capire che il suo cuore, capace di accogliere 5 orfani, poteva, senza timore, allargarsi per accoglierne altri due? Nel tempo in cui vivevo nella provincia di Tete conobbi e curai molti lebbrosi. Erano gli anni Settanta, e allora era ancora abbastanza comune vedere i malati ridotti in uno stato miserabile dalle mutilazioni della malattia. Una di loro si chiamava Otilia. Non aveva praticamente più né mani né piedi. Al loro posto erano rimasti moncherini. Camminava sui ginocchi protetti da panni, che ben presto si riducevano a stracci. La trovai a chiedere aiuto lungo la strada che percorrevo ogni mercoledì per visitare i presìdi sanitari del mio distretto. Aveva ulcere profonde tra le enormi callosità dei ginocchi e a causa della paralisi delle palpebre le lacrime le scorrevano continuamente sul viso.La caricai sul Land Rover e la portai al mio ospedale. Vi rimase molte settimane, il tempo necessario per rimediare a questo tipo di lesioni. La operai alle palpebre e, poco a poco, anche le ulcere dei ginocchi si chiusero. La riaccompagnai alla sua capanna, felice e contenta. La settimana seguente nel presidio sanitario mi consegnarono un biglietto, scritto da un suo vicino, perché la visitassi sulla via del ritorno. Mi aspettava davanti alla sua capanna. Mi fece entrare nel suo piccolo terreno e mi fece sedere sotto la veranda. Entrò in casa e ne uscì con una gallina. Me la mise tra le mani. Non ebbe bisogno di pronunciare nessuna parola! Nulla avrebbe potuto dire di più della verità del suo indimenticabile sorriso! Da molti anni in qua, un grande numero di pazienti è entrato nella mia vita e occupa molta parte del mio tempo e delle mie energie. Sono donne, quasi tutte molto giovani, affette da fistole ostetriche. L’unica soluzione è quella chirurgica. Ma per molti anni la fistola ostetrica è stata un’infermità trascurata, creando un circolo vizioso. Poco interesse, pochi chirurghi impegnati a operarle, poche fistole operate e perciò accettazione rassegnata di una situazione difficile da parte delle famiglie. Nel frattempo le donne portatrici di fistole ostetriche aumentano. Si calcola che ogni mille parti, nei Paesi in via di sviluppo, si formino due fistole. In Mozambico, ad esempio, dove i parti sono più di un milione all’anno, ogni anno si formano per lo meno 2000 nuove fistole ostetriche.Fin dai primi anni del mio lavoro, prima in Uganda e poi in Mozambico, sono stato colpito dal dramma e dalla discriminazione di queste sfortunate mamme. Non ho mai lasciato passare una di queste donne dal mio ospedale senza operarla. Tra loro e me c’è sempre stata una profonda simpatia e comprensione. Con l’inizio del nuovo millennio, però, le cose sono cambiate. L’
Organizzazione mondiale della sanità ha evidenziato la fistola ostetrica come una situazione di attenzione privilegiata, stimolando iniziative ben articolate per prevenirne la formazione, correggerle chirurgicamente e patrocinare il reinserimento delle pazienti guarite nella società civile. La soluzione del problema delle fistole ostetriche è stata scelta come uno degli obiettivi del terzo millennio. Tutti i governi sono stati sollecitati a impegnarsi concretamente.Io lavoro nel campo della riparazione chirurgica delle fistole. Sono impegnato a insegnarne la tecnica ai giovani chirurghi del Mozambico. In questo Paese si organizzano campagne di una settimana nei vari ospedali, invitando le pazienti attraverso le radio locali. Se ne raccolgono alcune decine e le si operano con un orario prolungato, dalle 8 del mattino fino alla fine del giorno. Si opera su due o tre letti operatori contemporaneamente, con un chirurgo di fistole più esperto e due apprendisti. In questo modo chi sta imparando ha la possibilità di operare una quindicina di casi in una sola settimana. Nelle campagne non ci si limita alla tecnica, si convive in una certa prossimità con le pazienti e così si crea un clima di simpatia e di amicizia.Ricorderò sempre la fine della mia prima campagna, tanti anni fa. Quella volta ero da solo e mi trattenni quasi un mese. L’ultimo giorno tutte le donne operate si radunarono in una sala per il saluto finale sedute in una fila di panche. Passavo davanti a ognuna per stringere la mano e dire «ciao». Quando arrivai alla terza, questa si alzò di scatto e invece di stringermi la mano mi abbracciò e mi baciò. E così, dopo di lei, tutte le altre: si alzarono e mi baciarono. Quale onorario operatorio potrebbe compararsi a tale ricompensa, che solo un povero è capace di dare? È proprio vero: i segreti del mondo più inaccessibili sono invece aperti e palesi per i piccoli e i poveri!