lunedì 28 marzo 2022
Migliore pellicola dell'anno è "I segno del cuore", romanzo di formazione della giovane Ruby, l'unica persona udente della sua famiglia. Schiaffi e lacrime di Will SMith sul palco. Tutti i vincitori
La regista Sian Heder con l'Oscar per "Coda"

La regista Sian Heder con l'Oscar per "Coda" - Foto di Frederic J. Brown / Ansa

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Non c’è dubbio che si sia trattato di un vero e proprio colpo di scena, nonostante alcune previsioni favorevoli già nei giorni scorsi: I segni del cuore – CODA, il film della regista americana Sian Heder, ha vinto l’Oscar come miglior film dell’anno, con una storia su disabilità, famiglia, passione e lealtà.

Il favorito, si sa, già vincitore di numerosi premi, era Il potere del cane, il western crepuscolare della neozelandese Jane Campion, che si è invece dovuta accontentare – si fa per dire – del premio per la regia (uno solo su dodici nomination), diventando la terza donna a ottenere questo riconoscimento dopo Kathryne Bigelow e Chloé Zhao.

In uscita nelle sale italiane con Eagle il prossimo 31 marzo e già consacrato da numerosi premi internazionali (tra cui i tre del Sundance), I segni del cuore – CODA (CODA è l’acronimo di Children of Deaf Adults, figli di adulti sordi), vincitore anche per la sceneggiatura non originale firmata dalla stessa regista, è il romanzo di formazione della giovane Ruby, l'unica persona udente della sua famiglia.

Ogni giorno, prima di entrare in classe, la diciassettenne lavora per aiutare il fratello e i genitori nell’attività di pesca sulla costa del Massachusetts. Ma da quando è entrata a far parte del coro della scuola, ha scoperto di avere grande passione e smisurato talento per il canto, per questo il maestro Bernardo la spinge a considerare una prestigiosa scuola di musica per il suo futuro. La ragazza dovrà scegliere se abbandonare gli adorati genitori per seguire il suo più grande sogno o continuare ad aiutare la sua famiglia. Il canto, inoltre, l’allontanerebbe ulteriormente da quel “silenzio” in cui vivono immersi i suoi cari.

Una storia che ha emozionato e commosso tanti, ma che, corre l’obbligo ricordarlo, è il remake dell’assai meglio riuscito La famiglia Bélier del francese Éric Lartigau, segno di una Hollywood in crisi di idee che pesca dal serbatoio europeo e “scopre l’acqua calda”, certa del fatto che gli americani conoscono solo il cinema “made in Usa”.

«È arrivato il nostro momento!», ha dichiarato un emozionato Troy Kotsur, il primo attore non udente a ricevere un Academy Award come non protagonista (nel film al fianco di Marlee Matlin, Oscar nel 1986 per Figli di un Dio minore, con William Hurt), mentre tutti lo acclamano ruotando in alto le mani, l’applauso nella lingua dei sordi.

TU CHIAMALA SE VUOI INCLUSIONE

L’inclusione è certamente la parola d’ordine dei nuovi Oscar, da quando due anni fa l’Academy ha stilato una lista di meriti che renderebbero i film degni di essere candidati. Dimostrano di aver recepito le nuove linee guida anche i premi di quest’anno: in cima al podio troviamo due donne, Heder e Campion, le sfide legate alla disabilità ricevono una nuova e giusta attenzione e gli afroamericani conquistano sempre più spesso posti al sole di Hollywood vedendosi riconosciuti talenti prima ingiustamente sottovalutati.

Ed ecco il meritato Oscar come migliore protagonista a Will Smith per Una famiglia vincente di Reinaldo Marcus Green, quello al documentario Summer of Soul di Ahmir "Questlove" Thompson sull'Harlem Cultural Festival del 1969, e quello come miglior attrice non protagonista ad Ariana DeBose per West Side Story di Steven Spielberg. L’attrice afroamericana, ma di origini anche portoricane e italiane, membro della comunità LGBTQI, si sofferma durante i ringraziamenti a sottolineare le difficoltà di realizzare i propri sogni per una come lei, nera e gay, la prima a vincere un Oscar. L’unico rischio di questa nuova politica di serrata correttezza politica è, in generale, quello di far prevalere questioni di “risarcimento morale” sulle valutazioni dei meriti artistici e di premiare le nobili intenzioni più che la bontà dei risulti.

CONFERME

Come previsto, Jessica Chastain vince per Gli occhi di Tammy Faye nei panni delle celebre telepredicatrice americana travolta dagli scandali nonostante fede e compassione muovessero tutte le sue azioni, Kenneth Branagh sale sul palco per ritirare la statuetta per la migliore sceneggiatura originale di Belfast e No Time to Die di Billie Eilish, scritta per l’ultimo James Bond, è la migliore canzone. Scontata anche la vittoria del disneyano Encanto, che batte in casa Luca, diretto dal nostro Enrico Casagrande.

A raccogliere il maggior numero di statuette è Dune del canadese Denis Villeneuve, che vince solo per categorie tecniche, mentre Massimo Cantini Parrini viene snobbato dall’Oscar che finisce invece nelle mani della favorita Jenny Beavan per i costumi di Crudelia.

SCHIAFFI E LACRIME

Cosa resterà di questa brutta serata degli Oscar, funestata da una regia senza “visione”, dalla frammentazione di una scaletta zeppa di insulsi siparietti, incomprensibili classifiche e continui tributi ad anniversari cinematografici e che dimentica nel capitolo dedicato agli artisti scomparsi la nostra Monica Vitti? Resterà il violento schiaffo sferrato da Will Smith a Chris Rock a causa di una infelice battuta di quest’ultimo sul cranio rasato della moglie dell’attore, Jada Pickett Smith, affetta da alopecia. Un gesto scioccante seguito dal rabbioso invito a non pronunciare mai più il nome della consorte. Qualche minuto dopo Smith salirà nuovamente sul palco per ritirare l’Oscar pronunciando, in lacrime, uno dei più deliranti ed enigmatici discorsi di ringraziamento mai uditi in questa occasione. L’attore parla infatti dell’amore che fa fare cose folli e della necessità di proteggere la propria famiglia, della madre e i suoi corsi di uncinetto, della sensazione di essere sopraffatto da ciò che Dio gli chiede di fare. Non smette di parlare, chiedere scusa e piangere, dando l’impressione di essersi talmente calato nei panni di Richard Williams, padre delle celebri tenniste Venus e Serena e protagonista del film, da vivere quasi nella sua pelle. «Poco fa Denzel Washington mi ha detto – rivela l’attore – di stare attento perché è nel momento più alto che il diavolo viene a prenderti».

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