Più che un portiere di riserva, Paolo Orlandoni è un estremo difensore da riserva. Nel senso che andrebbe protetto come uno dei magnifici “panda” del nostro calcio (per fortuna in sensibile ripopolamento). A 18 anni era già il terzo portiere dell’Inter, club in cui è cresciuto: dietro a Walter Zenga e Astutillo Malgioglio che a pensarci è stato il suo precursore di impegno sociale. Diciotto anni dopo Orlandoni lo ritrovi ancora a fare il terzo, per niente incomodo, con davanti due monumenti tra i pali come Julio Cesar e Francesco Toldo, ma di strada ne ha fatta tanta, anche stando in panchina. Continua ad allenarsi con la stessa serietà e la voglia degli esordi e le rare volte che è stato chiamato in causa (debutto in nerazzurro nel 2006 in un Cagliari-Inter 2-2, l’ultima lo scorso anno in Inter-Genoa 4-1) ha fatto vedere che potrebbe tranquillamente giocare da titolare in mezza serie A. Se è tornato all’Inter poi c’è una ragione che è “speciale” quanto Mourinho (che come Roberto Mancini in passato ha espresso parole di profonda stima per lui): la piccola Emma. Tre anni e mezzo fa, quando giocava nel Piacenza, sua moglie Martina a Monza ha dato alla luce la loro secondogenita che è nata affetta dalla sindrome di Down. Un evento più spiazzante di un rigore, ma subito Orlandoni ha tirato fuori la grinta e il coraggio dell’autentico numero 1. «Al momento ci siamo sentiti persi. Ti rendi conto subito di quante e quali siano le difficoltà e soprattutto di come sia grande ancora la chiusura riguardo a un certo tipo di problematiche». Chi è abituato al gioco di squadra sa bene però che la forza si trova sempre nel gruppo. Così quello di alcuni genitori con dei bambini come Emma, ha messo in piedi dall’oggi al domani la Onlus, “Capirsi Down”. «Un movimento spontaneo che si è venuto a creare nella corsia dell’Ospedale San Gerardo di Monza. Ognuno ha dato il suo contributo e così adesso questi bambini vengono seguiti e svolgono tutta una serie di attività psicomotorie con dei risultati importantissimi sul piano della crescita e soprattutto della socializzazione. Una grande vittoria per loro e per le famiglie». Un successo e dei risultati che non sempre si concretizzano, specie in alcune zone d’Italia dove ancora c’è molto da fare per il recupero e il sostegno dei bambini disabili. «Il nostro purtroppo è ancora un Paese molto indietro sul piano della cultura della disabilità. Molto è stato fatto, ma c’è ancora tanto da lavorare sulla mentalità e se vogliamo sulle coscienze che devono aprirsi ed essere più collaborative. C’è ancora chi prova vergogna e si chiude in se stesso quando ha un figlio Down, non rendendosi conto che questi bambini dolcissimi hanno solo bisogno di aiuto e di tanto amore intorno a loro. Io oggi mi sento un padre fortunato perché Emma è forse la più “normale” dei miei figli. E per i suoi fratelli, Giulia di 6 anni e Cesare che ne ha 2, è semplicemente la loro sorellina speciale». Ed è speciale anche questo papà che sorride dolcemente alla vita e che appena toglie i guanti del portiere nerazzurro respinge tutte le tristezze e le paure della piccola Emma e di tutti quei bambini, come lei, che ha già portato in visita ad Appiano Gentile. «Non credo di fare nulla di eccezionale, anche se sono consapevole che noi calciatori con la nostra immagine pubblica possiamo dare un grande contributo a certe campagne di sensibilizzazione. Per questo io come molti altri miei colleghi mi spendo il più possibile. Ci sono tanti campioni che sono prima di tutto dei fuoriclasse di umanità che ci danno una mano e di questo li ringrazio. Un ringraziamento particolare nella mia vicenda personale va a Fabrizio Garilli, il presidente del Piacenza. È stato come un fratello: quando è nata Emma mi ha permesso di abbandonare la squadra e di dedicarmi a tempo pieno a mia moglie Martina e alla bambina, per poi accogliermi di nuovo in squadra. Un gesto quello di Fabrizio che non dimenticherò mai…». Con la sua tuta scudettata pronta per l’allenamento quotidiano, Orlandoni non dimentica mai di essere anche un ambasciatore dello sport per quei piccoli che hanno difficoltà motorie. «Lo sport per i bambini disabili è fondamentale sia dal punto di vista fisico che sotto l’aspetto di una piena integrazione sociale. Quando un giorno smetterò con il calcio mi piacerebbe dedicare più tempo alla preparazione atletica di queste creature. Vorrei seguire da vicino anche quella di Emma, ma quello che conta adesso è starle vicino, aiutarla a crescere in serenità insieme ai suoi fratelli e con Martina, dargli quell’amore di cui ha bisogno e che lei ci trasmette costantemente in una maniera tutta sua, da figlia davvero speciale». Emma già da un po’ ha imparato a dire «gol», e quello lo ha segnato con tanto di dedica nel cuore del suo papà, un portiere da riserva nell’Inter dei record.