Domenico Scattola, "Giulietta prende il sonnifero" (particolare)
“Supra acqua et supra ad vento…”; “Andando uno santo - a uno suo chanpo…”; “Fantasima, fantasima, che nella notte vai…”. Tre esempi di scongiuro o d’incantesimo: la formula magica pronunziata da una strega tudertina del XV secolo per recarsi in “volo magico” sino al fatidico “noce di Benevento” e raccolta dagli atti del suo processo; uno scongiuro contro i parassiti (i bruchi) tratto dal Fiore di virtù dello stesso periodo; una finta sequela apotropaica inventata da Giovanni Boccaccio sullo stile dei “brevi” e degli “incantamenti” che al suo tempo tutti conoscevano e che in realtà avrebbe dovuto servire a una donna infedele per tenere alla larga, di notte, l’amante da casa sua visto l’inopinato rientro del consorte alla dimora. Tre casi a modo loro classici ed esemplari.
Nel mondo che siamo ormai abituati a definire medievale, tra V e XV secolo, continuarono a sussistere in tutto il territorio di quella che era stata la pars Occidentis dell’impero romano, e che a partire dal VI secolo prese ad espandersi verso il nord e l’est del continente europeo grazie all’evangelizzazione promossa dai regni romano-barbarici cristianizzati e all’iniziativa della Chiesa episcopale romana che ambiva ad egemonizzare le altre comunità cristiane, antiche pratiche terapeutiche d’origine pagana che mischiavano sapere medico e ritualità magica.
La Chiesa cristiana agì, nei confronti di tali pratiche, con molta prudenza e con una sostanziale discrezione. Talvolta, appoggiata ai poteri locali, fece piazza pulita delle vecchie superstizioni addirittura ricorrendo alla distruzione degli idoli e dei santuari; ma più spesso adottò il metodo che gli antropologi definiscono “acculturazione”, accogliendo alcune forme relative agli antichi culti – ad esempio l’adorazione degli alberi e delle fonti – e adattandole ai contenuti della nuova fede cristiana mediante la loro attribuzione in vario modo a Dio, alla Vergine, agli angeli, ai santi, alle narrazioni bibliche o evangeliche.
I convertiti alla nuova fede reagirono accogliendola magari con entusiasmo, ma adattandola non senza contraddizioni alla loro mentalità tradizionale. Riti e usanze a carattere magico, soprattutto magico-terapeutico, ne risultarono mantenuti e al tempo stesso modificati. I padri sinodali, gli autori d’età patristica, come sant’Isidoro di Siviglia o gli anonimi estensori del testo pseudagostiniano Homilia de sacrilegio composto tra VII e VIII secolo in Francia settentrionale, non si stancano di descrivere queste formule sincretistiche, condannandole: ma esse erano molto diffuse e, a quel che pare, usate anche da molti sacerdoti che mischiavano carmina aut incantationes paganorum alle preghiere o agli esorcismi liturgici. Ne risultò una ricca letteratura tanto latina quanto redatta negli idiomi volgari che si andavano affermando in tutta Europa: una letteratura oralmente tramandata, ma che non manca di passare anche in testi scritti di varia natura: liturgici, cronistici, narrativi, giudiziari, tramandati direttamente o indirettamente, programmaticamente o casualmente. Né è sempre possibile gli scongiuri a carattere folklorico e sovente trasformati in espressioni proverbiali dalle vere e proprie formule magiche usate in un contesto rituale.
Una ricca raccolta di questi documenti è stata edita e commentata a cura di Marcello Barbato in un grosso volume, Incantamenta latina et romanica. Scongiuri e formule magiche dei secoli V-XV (Editrice Salerno, pagine 146, euri 32,00). Il curatore, filologo e linguista dell’Università L’Orientale di Napoli, fa precedere la sua ricca scelta antologica da una sostanziosa “Introduzione critica” che descrive e commenta, ordinandola, la complessa tipologia di queste formule “magico-religiose” o propriamente magiche (una classificazione sicura, quindi una distinzione rigorosa, è sovente ardua).
Di speciale importanza, e spesso di fascino particolare (talora perfino commovente) le formule che assumono un carattere narrativo, quasi da parabola o da leggenda agiografica: un santo o una santa desolati e sofferenti incontrano Gesù Cristo che, mosso a pietà dei loro mali, indica loro le erbe e le parole necessarie per la guarigione.