Rifugio Cima Tofana, Tofana di Mezzo, 3244 m 2018 (dal progetto Osservatorio Cortina 2021) - Arena/Caneve
Le montagne sono state sempre lì, ma non esistevano: fino a che qualcuno non le ha viste e riconosciute. Da simbolo astratto del numinoso, luogo inospitale e temibile, popolato di fate, streghe e uomini silvani, territorio di caccia o, ancora, necessario quanto scomodo attraversamento, le cime, prima con il romanticismo e poi con i fenomeni sempre più estesi del turismo e della pratica sportiva, che del romanticismo e della sua ricerca del limite sono la declinazione nella società di massa, sono diventate quasi all’improvviso un teatro famigliare, sempre più antropizzato e perfino urbanizzato per consentire a coloro che ne provassero il desiderio (lecito) di godere dell’esperienza della wilderness. Allo stesso tempo, la valle ha ripreso a rinvigorire e fissare, tra esigenze interne e spinte esterne, l’immagine della propria tradizione.
La montagna, molto più di altri contesti ambientali, è strettamente legata alla sua rappresentazione e alle proiezioni dell’immaginario. Se tutto l’arco alpino è stato ed è soggetto a questo fenomeno, le Dolomiti – dove il fascino dei luoghi si somma alla relativa facilità di accesso – ne costituiscono un vero e proprio osservatorio privilegiato. E Osservatorio Cortina 2021 si intitola il progetto di ricerca artistica in cui i fotografi Gianpaolo Arena e Marina Caneve hanno indagato il territorio ampezzano e la sua cultura per tre anni. L’arco temporale è stato calibrato sulla preparazione dei Mondiali di sci alpino appena conclusi, ma appare evidente che lo sguardo si prolunga verso le Olimpiadi del 2026, a 70 anni esatti da quelle che, grazie alla completa copertura televisiva internazionale, la prima nella storia dei Giochi, diffusero l’immagine della “regina delle Dolmiti” in tutto il mondo.
Acquabona, 2019 (dal progetto Osservatorio Cortina 2021) - Arena/Caneve
“Di Cortina – si legge nel progetto – l’immaginario comune riproduce spesso aspettative iconiche che assecondano i desideri dei visitatori, piuttosto che fornire nuove chiavi di lettura del territorio e della società. È possibile contrastare questo atteggiamento prestando rinnovata attenzione a un paesaggio che è quasi diventato un’icona cristallizzata all’interno di un’immagine?”. Il risultato è un volume edito da Quodlibet, La valle tra le cime e le stelle: non una collezione di panorami o una denuncia del degrado ma una analisi distaccata degli innumerevoli mondi, moltiplicati a loro volta dalle altimetrie, intrecciati eppure irriducibili, che ricorrono sotto il termine Dolomiti, una complessità ben evidenziata dalla mise en abyme del ritorno circolare, ma non invariato, delle stagioni.
I due fotografi adottano un approccio che fa propria la lezione di Ghirri (da Atlante a In scala, da Topografia - Iconografia a Paesaggio italiano), riprendendone in parte le tinte chiare che rendono ambigua la percezione temporale ma soprattutto la centralità del regime scopico (ossia l’ecosistema di immagini, sguardi e dispositivi) e l’abbondante ricorso a quelle che Mitchell chiama “ metapicture”, vale a dire “immagini di immagini” impiegate «come dispositivo – spiega il teorico del pictorial turn – per riflettere sulla natura della picture »: in questo caso “immagini di immagini” della montagna disseminate nei contesti più disparati.
Passo Falzarego, 2020 (dal progetto Osservatorio Cortina 2021) - Arena/Caneve
Come osserva Gianpaolo Arena nel volume, «la rappresentazione iconografica diventa per tutti noi uno strumento per riconoscere, formalizzare e capire dove ci troviamo. Riceviamo anche informazioni complementari sul quando e sul perché. Il segnale amplificato e onnipresente dell’icona dalle Cinque Torri o dello Schuss delle Tofane riprodotto infinite volte in un cartellone, in una t-shirt o in una tovaglietta al ristorante azzera il tempo geologico delle montagne per imporre la visione statica del monumento. Un totem monolitico e sacrale da cui è difficile allontanarsi, l’icona cristallizzata di un’idea».
Dal 1956 a oggi l’immagine si è fatta oltremodo pervasiva, si è estesa tecnologicamente in «periferiche per la libera fruizione di uno spettacolo diffuso » dice Arena. Ma “spettacolo diffuso” è per Guy Debord la caratteristica propria delle società capitalistiche, basate sul consumo delle merci. «La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale – scrive il filosofo francese in La società dello spettacolo – aveva determinato nella definizione di ogni realizzazione umana un’evidente degradazione dell’essere in avere. La fase presente dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dell’economia conduce a uno slittamento generalizzato dell’avere nell’apparire, da cui ogni “avere” effettivo deve trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima».
Piegando il ragionamento al contesto, lo sfruttamento economico della montagna è passato dall’oggetto, e quindi dal suo possesso fisico, all’immagine. Ma per quanto merce, l’immagine della montagna resta una mediatrice necessaria perché noi possiamo accostarci. In questo senso ha ragione Arena quando conclude osservando che « la montagna, come un riferimento a monito della nostra finitudine, è sempre lì, ma abbiamo ancora bisogno di vederla rappresentata».
Gianpaolo Arena, Marina Caneve
La valle tra le cime e le stelle
Quodlibet. Pagine 168. Euro 28,00
Cortina d'Ampezzo, 2020 (dal progetto Osservatorio Cortina 2021) - Arena/Caneve