Martha Nussbaum insegna Filosofia del diritto all’Università di Chicago. È una degli intellettuali più noti a livello planetario, almeno per quanto riguarda la riflessione filosofica. Da tempo è impegnata nel richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sul valore apicale dell’uomo non solo nella speculazione teoretica ma anche nel lavoro scientifico a tutto tondo: la sua interpretazione dell’umanesimo non è infatti pura erudizione, ma assume su di sé il senso letterale del termine, per muovere una critica allo specialismo accademico. Quest’ultimo - si perdoni la metafora - sembra una vettura che avanza spedita senza alcun conducente alla guida: consapevole di questa incongruenza, Martha Nussbaum è da tempo impegnata a favore di un nuovo paradigma che ponga l’uomo al centro dell’impresa scientifica, in concreto, al di là della asserzioni astratte. Per esempio, a partire dal problema della misurazione della ricchezza di uno Stato: è sufficiente il Pil come indicatore? Oppure si dovrebbero trovare delle modalità oggettive per verificare la capacità del sistema di rispondere ai bisogni dei cittadini e di offrire loro delle opportunità? In questi giorni esce con il Mulino la traduzione del suo ultimo libro,
Creare capacità. Liberarsi della dittatura del Pil (titolo in inglese:
Creating Capabilities. The Human Development Approach) specificamente dedicato a questo problema.
Professoressa Nussbaum, qual è l’attività della «Human Development and Capability Association (Hdca)», a cui ha dedicato il libro?«Si tratta di un organismo internazionale, di carattere accademico, che ha circa 800 membri distribuiti in 80 paesi. Annualmente teniamo un meeting, organizzato sempre in un Paese diverso (quest’anno lo facciamo a Giacarta, in Indonesia); pubblichiamo una rivista scientifica, il "Journal of Human development and Capability", organizziamo una
summer school e vari altri meeting minori. Hdca ha una vocazione multidisciplinare, praticando la filosofia e la pedagogia, l’economia e gli studi sullo sviluppo, le scienze politiche eccetera. L’obiettivo è quello di realizzare delle ricerche legate al paradigma dello "Sviluppo umano", non senza dare spazio agli orientamenti culturali che si collocano in altre prospettive. Uno scopo ulteriore di Hdca è quello di superare la distinzione fra gli approcci teorici e quelli pratici in materia di diritti umani e teoria dello sviluppo».
Quali sono le caratteristiche dell’«approccio delle capacità e dello sviluppo umano»?<+tondo>«Lo utilizziamo per misurare il livello di sviluppo di un Paese, partendo dalla domanda: "In questo momento, le persone che ci vivono sono libere di scegliere il proprio destino? Concretamente cosa possono fare?". Inoltre focalizziamo la nostra attenzione sulle specifiche libertà rilevanti per la qualità della vita, nello sforzo di misurarla con criteri oggettivi. La mia interpretazione si serve di questi concetti per porre a tema la teoria del "grado minimo di giustizia sociale"».
Il premio Nobel per l’economia Amartya Sen - che lei ringrazia pubblicamente nella sua premessa - può essere considerato il «padre» di questo approccio?«Beh, direi che la galleria dei "padri" include come minimo i nomi di Aristotele, Adam Smith, John Stuart Mill, Rabindranath Tagore e Thomas H. Green. In anni recenti, senza dubbio Sen ne è stato il maggior teorico nell’ambito delle scienze economiche. Le ha praticate in un’ottica comparatistica, ma senza costruire una teoria della giustizia sociale, come nel mio caso».
Lei scrive: «Sono le persone che contano, in ultima analisi; i profitti sono solo mezzi funzionali all’esistenza umana». Sono affermazioni piuttosto ovvie, o almeno dovrebbero esserlo: perché ce ne siamo dimenticati? Perché viviamo sotto la dittatura del Pil? «Perché la valorizzazione della persona umana è un progetto complesso e difficile, in realtà, mentre il Pil è un semplice numero, che i burocrati preferiscono per facilitare le cose! Spesso si sente dire che il Pil rappresenta bene gli altri aspetti dello sviluppo umano, perché li presuppone o li porta con sé, ma questa tesi non è confermata dall’esperienza. A ben vedere, la libertà politica e religiosa non è correlata al Pil, come dimostra la Cina, e non lo sono neppure la salute e l’istruzione».
Molti lamentano che il Pil non sia più una misura attendibile per stabilire lo sviluppo delle comunità umane e, in modo particolare, la loro qualità della vita: esistono però delle difficoltà obiettive nell’immaginare delle alternative. Lei cosa propone in termini empirici?«Uno degli impegni più gravosi dell’Hdca è proprio quello di discutere tali criteri di misurazione con cui integrare, non sostituire, il Pil. Faccio qualche esempio: in riferimento alle libertà politiche e religiose, dovremmo servirci di un quadro complesso di informazioni di carattere giuridico e storico per capire le garanzie costituzionali di un singolo Paese, il loro grado d’efficacia e i conflitti che ne stanno alla base. In ordine all’istruzione, sono necessari non solo dei test per verificare l’alfabetizzazione testuale e numerica, ma anche indicatori più complessi sulle conoscenze dei ragazzi in età scolare. E così via. In breve, ogni singola abilità che qualifica lo "sviluppo umano" dovrebbe essere indagata con gli strumenti più raffinati che la scienza ci consente, senza facili scorciatoie».