mercoledì 3 luglio 2024
Manuel Bortuzzo cinque anni fa, prima dello sparo criminale alla schiena, si allenava con Paltrinieri: è tornato in vasca e ora è pronto per le Paralimpiadi
Manuel Bortuzzo

Manuel Bortuzzo - Rizzoli

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C’è un giovane Ulisse in piscina che tutti i giorni sbraccia e suda per tornare alla sua Itaca: il primo sogno olimpico fatto da bambino. L’Ulisse è Manuel Bortuzzo, 24enne triestino, talento del nuoto che fino a cinque anni fa si allenava con i “fratelli d’Italia”: i medagliati Gregorio Paltrinieri, Gabriele Detti e Domenico Acerenza. Poi uno sparo nella notte, era il 3 febbraio 2019 quando assieme alla fidanzata di allora, Martina, fuori da un pub alla periferia di Roma, mentre stava cercando di comprare un pacchetto di sigarette, venne raggiunto da un proiettile alla schiena. Un errore di persona, un colpo a tradimento che cambia il suo destino di ragazzo e di nuotatore azzurro. Il referto impietoso dei medici, all’indomani dell’assurdo crimine compiuto ai suoi danni, parla di lesione midollare e ad attenderlo c’è una sedia a rotelle da dove ricominciare.

La sua storia, che aveva commosso tutti, l’aveva raccontata quasi a caldo in Rinascere (Rizzoli). Ora l’intenso sequel, Soli nella tempesta (Rizzoli, pagine 172, euro 17,00). Un diario esistenziale che spazia in stile libero dallo sport agli amori, dalle amicizie perse di ieri a quelle nuove di oggi, dalle canzoni di Ghali, «che sa vedere oltre», alla «ricerca della perfezione», che ha scoperto nella musica di Arturo Benedetti Michelangeli, studiata con l’amico Fabio ed eseguita al pianoforte, nuovo inseparabile compagno della sua second life. Insomma, un libro che si legge come un piccolo saggio filosofico in cui Manuel indica come da sottotitolo la «disciplina e armonia per affrontare le battaglie della vita» Un percorso difficile, in cui racconta: «Ho attraversato una grande sofferenza che mi è rimasta impressa nel corpo e che ho davanti agli occhi ogni giorno». Un quotidiano fatto di sacrifici e di progetti rinnovabili per cambiare la propria condizione, ma anche quella di tutte le persone con disabilità, chiedendo accoratamente un adeguato cambio di passo culturale da parte del nostro Paese.

«Ho imparato a correre in auto a 300 km orari sulla pista di Misano, poi però vai in aeroporto e cominciano i problemi per il trasporto e l’imbarco in carrozzina. Qui in Italia nessuno si vuole prendere la responsabilità di niente, in Sudafrica ma anche altrove, il disabile sceglie come salire in aereo o come accettare o meno un servizio preferenziale quando deve viaggiare». Manuel non fa mai sconti a nessuno, a cominciare da se stesso. E tra i tanti incontri avvenuti in questo tempo di riabilitazione, fisica ma soprattutto spirituale, c’è quello con un Aristotele del nuoto paralimpico, il campione greco Antonios Tsapatakis che avverte: «Non puoi tagliare l’anima a pezzi. Il mio corpo può anche non funzionare ma la mente dice: Antonios puoi farlo, puoi farlo in un modo diverso». E questo è diventato anche il suo mantra, il sistema di orientamento del giovane uomo che ha imparato che «smarrirsi fa parte della vita». Per questo il ragazzino cresciuto con Dragon Ball vestendosi da Goku, «l’eroe della mia infanzia che non mi abbandona mai», non disdegna l’accezione di “supereroe”, in quanto atleta paralimpico, uno dei 14 entrati per la prima volta nella storia della Polizia di Stato nel gruppo sportivo delle Fiamme Oro. Così come non teme di nuotare nella corsia pericolosa del “politicamente scorretto”, che tanto fa paura ai benpensanti, per autodefinirsi ironicamente un “handicappato”…

Un termine che a qualche lettore farà scuotere la testa e provare quel senso di timore diffuso e censorio.

«Chi incontra la disabilità deve imparare a non avere mai paura di chiedere quello che non sa e può usare anche quei termini che comunque danno il senso della realtà, servono ad abbattere gli inutili pietismi che sono peggio delle barriere architettoniche. Ognuno di noi, se ci pensa bene, ha un suo handicap e i peggiori sono quelli che non si vedono o non si vogliono vedere. Ma questi handicap si possono superare solo se decidi di impegnarti in ciò che ti fa stare bene. Io, a partire dal nuoto ora so che per stare bene con se stessi serve fare ciò che amiamo e farlo sempre al 100% delle proprie possibilità. Ma questa è una condizione che appartiene al Manuel di oggi».

Nel Bortuzzo pensiero attuale colpisce la riflessione finale di Soli nella tempesta: «Nella mia vita arrivo sempre al momento sbagliato nel posto sbagliato».

«È la sensazione che avverto quando rivado indietro con la memoria e mi dico: cavolo Manuel, a volte hai avuto delle occasioni che al momento non avevi capito e quindi non hai sfruttato. Ma questo accade a tutti, perché il futuro non lo puoi prevedere, lo puoi solo immaginare. Il senso della vita forse sta nel riuscire ad incastrare le tue aspirazioni e i tuoi sogni nei momenti in cui ti sembra impossibile realizzarli per le troppe difficoltà che devi affrontare e superare».

Intanto hai superato la prova del ritorno in vasca. Cosa è cambiato dai tempi degli allenamenti con la Nazionale olimpica?

«La preparazione fisico-atletca del nuoto paralimpico non prevede lo schema rigido della doppia seduta in acqua più la palestra sette giorni alla settimana. Il mio allenamento non è mai lo stesso, varia a seconda della giornata e della condizione fisica. Ho imparato ad avere molte più attenzioni per il mio corpo, ora riesco ad ascoltarlo e a capire come può rispondere a certi stress derivati dai carichi di lavoro».

Francesco Bonanni è l’allenatore che ti ha riportato in piscina, ma per tornare all’agonismo scrivi che è stato determinante l’amicizia con il campione olimpico della scherma Aldo Montano, incontrato nel reality televisivo del Grande Fratello.

«In quella casa il “grande fratello” ho scoperto subito, appena entrato, che era Aldo, il quale a sua volta è entrato nella mia vita in un momento di incertezze e di grandi ripensamenti. Dopo 17 anni di nuoto dovevo capire se fosse giusto o no proseguire. La sua passione e i racconti dei trionfi e delle sconfitte da campione olimpico della sciabola hanno riacceso la fiamma che era in me: Aldo gli ha dato fuoco e di questo gli sarò per sempre grato. Oggi mi segue anche a distanza, vuole sapere tutto dei miei allenamenti, dei miei risultati, ma prima mi chiede sempre come sto».

A meno di due mesi dalle tue prime Paralimpiadi di Parigi come stai?

«Ho il record italiano dei 50 e 100 rana. Grazie alla guida tecnica di Francesco ho fatto dei grandi progressi. Ora aspetto la convocazione ufficiale per le Paralimpiadi, ma il mio obiettivo principale è andare a Parigi per divertirmi e continuare a provare questa sensazione di benessere che mi danno gli allenamenti e la voglia di migliorarmi continuamente».

A Parigi ritroverai il campione e tuo punto di riferimento, Antonios Tsatapatakis.

«Con Antonios siamo diventati amici. Sentendolo parlare, leggendo le sue interviste e osservando le sue stories sui social, mi ha colpito la capacità unica che ha di sdrammatizzare e di rendere tutto così naturale, dal farsi aiutare a vestirsi o da come “tratta” la carrozzina. Seguendo lui ho scoperto una parte di me che è molto simile, dalla passione per il nuoto alla voglia di impegnarsi per gli altri, specie per i bambini, con corsi di formazione nelle scuole e i tanti progetti solidali. L’ultimo progetto che ho seguito è stato l’ampliamento delle case famiglia all’interno dell’ospedale Niguarda di Milano, è un sostegno importante per quei genitori che arrivano da lontano per assistere i loro bambini ricoverati».

I bambini rimangono stupiti dal tuo corpo ricoperto di tatuaggi. Ma quanti sono?

«Impossibile contarli, perché molti sono dei disegni collegati ad altri. Ogni tatuaggio ha un suo preciso significato ed esprime qualcosa di questo mio essere ora, compreso quel dolore inciso nella pelle e nell’anima che, come ho scritto anche nel libro, mi costringe a elaborare continuamente il lutto tra ciò che sono stato e ciò che sono. Ma affronto tutto questo con lo spirito dell’aquila solitaria. Davanti alle scelte della vita siamo tutti soli, però ciò che ci aiuta è la fede nella bellezza che va cercata e vissuta pienamente».

Lo show deve sempre andare avanti, e allora dopo il programma di Rai1 ItaliaSì! in cui Mauro Coruzzi ti ha insegnato i trucchi del mestiere, fare televisione potrebbe essere il tuo futuro?

«Nel libro per la prima volta confesso che appena uscito dall’ospedale non avendo ricevuto nessun risarcimento per il danno subito sono stato costretto ad accettare quella proposta economica della Rai, scoprendo poi che il mondo della televisione mi piace, mi sento a mio agio, grazie anche a quegli insegnamenti di Mauro. In futuro vorrei fare un programma che parli a tutti, usando la disabilità come sfondo per comunicare cose semplici e dare delle risposte concrete a chi ne ha bisogno. La mia idea è una televisione che faccia percepire da casa la pulizia del lavoro e la voglia di essere davvero utili a qualcosa e a qualcuno».

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