lunedì 13 maggio 2013
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Bradley Wiggins imbranato in discesa sta diventando il tormentone di questo Giro. Vorremmo non parlarne più ma è impossibile, l’inglese è, o forse a questo punto si dovrebbe dire era, il maggiore favorito alla vittoria finale, il corridore più celebrato al mondo, l’atleta che ha addirittura aperto le Olimpiadi di Londra.Vedere Wiggins in discesa sta diventando imbarazzante. Uno spot al rovescio per il ciclismo. Diventa difficile credere che abbia vinto un Tour de France, anche se le strade pirenaiche e alpine erano asciutte e non bagnate come quelle di questo Giro. Inevitabile, quindi, chiedersi cosa succederà nelle prossime due settimane con l’arrivo delle montagne.Di sicuro si vedrà se l’inglese è un vero Baronetto della bici o un semplice plebeo. Si vedrà se è davvero un campione con una reazione orgogliosa a questo stato catatonico in cui piomba appena la strada comincia a scendere o se cederà alle sue paure con un inevitabile, a quel punto, ritiro.La paura di cadere, comunque, non basta a giustificare l’atteggiamento di Wiggins in corsa, cosa non va lo scopriremo nei prossimi giorni. Perché basta osservarlo in gara per capire che ci deve essere qualcosa d’altro oltre alla paura che riaffiora, dopo la caduta al Tour di due anni fa che gli costò la frattura della clavicola e il ritiro. Il timore di dover buttare all’aria il Giro e la stagione non c’entrano con la sua condotta apatica, sempre in coda, anche quando la strada riprende a salire: solitamente chi tende a staccarsi risale velocemente il gruppo nel terreno più favorevole e affronta dalla testa i tratti a lui meno congeniali, così può lasciarsi sfilare lentamente e restare più a lungo con gli altri corridori. E stare in testa è fondamentale per chi punta alla vittoria, soprattutto nel finale di tappa, quando possono crearsi pericolose fratture del gruppo e ritrovarsi dietro significa perdere secondi, se non minuti, preziosi.Finita l’analisi psicologica quotidiana di Wiggins bisogna parlare della nona tappa con il suggestivo arrivo a piazzale Michelangelo di Firenze. I girini non hanno anticipato, e raddoppiato, il giorno di riposo come si pensava dopo le fatiche della cronometro. Nibali avrebbe voluto lasciare la maglia rosa a uno dei fuggitivi di giornata, per preservare i compagni di squadra in vista delle tappe di montagna, ma vedere “Wiggo” e Ryder Hesjedal, il campione uscente, stentare ancora lo ha convinto ad accelerare l’andatura. Così i fuggitivi sono stati recuperati quasi tutti. Il russo Maxim Belkov si è slavato e con una galoppata straordinaria ha raggiunto solitario il traguardo. Un traguardo posto a pochi chilometri da casa. Il russo, infatti, vive a Prato con la famiglia. Alle sue spalle è arrivato secondo il colombiano Betancur che uscito dal gruppo negli ultimi chilometri ha raggiunto gli altri due superstiti della fuga, convinto che fossero i primi, e li ha battuti in volata esultando per la vittoria. Si può immaginare la sua delusione quando gli hanno detto che era già arrivato un altro corridore. L’ennesima incomprensibile beffa. Anzi, imperdonabile se si pensa che sono dei professionisti e in perenne contatto con le ammiraglie attraverso le tanto discusse radioline. Non si può non sapere quanti corridori ci sono in fuga, a volte basta una semplice domanda, soprattutto se si è “dormito” per tutta la corsa e ci si è svegliati all’improvviso.Per chiudere è inevitabile parlare di Hesjedal, la “vittima “ del giorno, che si è presentato al Giro ancora più magro dello scorso anno: sembrava impossibile ma ha tolto un ulteriore chilo a un fisico già ridotto all’osso. Però, non sembra sia servito a molto, visto che sulla salitella di Fiesole, nel finale, ha ceduto di schianto perdendo contatto dal gruppo della maglia rosa, un gruppo ancora bello folto. Chissà, forse insieme al poco grasso rimasto il canadese ha rosicchiato anche un po’ di muscoli. Ora in classifica è rimbalzato indietro, ma prima di darlo fuori dai giochi bisogna aspettare la prossima tappa, quella di martedì con arrivo in salita, all’Altopiano del Montasio.
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