il filosofo romeno Constantin Noica, uno dei pensatori più acuti sulla crisi dell'Europa
«Non ci si apparta sui Carpazi per fuggire il mondo, ma per conquistarlo da lontano» è una magnifica biografia in forma di aforisma. L’aforisma è di Emil Cioran, la biografia appartiene al suo amico Constantin Noica, morto nel 1987 all’età di 77 anni. Pensatore importante, e non solo in prospettiva storica (insieme con Mircea Eliade, Eugène Ionesco e lo stesso Cioran, apparteneva all’ultima generazione di intellettuali romeni cosmopoliti, destinati a scontrarsi con le asprezze del regime comunista), Noica non è ancora abbastanza conosciuto nel nostro Paese, nonostante l’attenzione che alla sua opera è stata riservata da editori come il Mulino e la pisana Ets, che una decina di anni fa aveva portato in libreria il Trattato di ontologia e il Saggio sulla filosofia tradizionale.
Ora l'editrice milanese Carbonio ripropone, nella nuova traduzione di Mira Mocan, un testo uscito proprio dal Mulino nell’ormai lontano 1993, Sei malattie dello spirito contemporaneo (pagine 208, euro 17,50), probabilmente il più indicato per fare la conoscenza di questo pensatore di meravigliosa irregolarità. Anzi, se il nostro fosse ancora tempo da vacanze intelligenti, ci sarebbe da adoperare il libro come spunto per il gioco dell’estate, qualcosa del tipo “tu di che malattia sei?”: soffri di atodetite o ti senti più incline all’acatholia? Inutile consultare dizionari e siti medici, perché le sindromi e le relative gradazioni sono un’invenzione dello stesso Noica, che in questo scritto del 1978 redige una fantasiosa eppure affidabile cartella clinica della contemporaneità. Le malattie, spiega, sono sei in tutto e si definiscono in relazione al sentimento di ricerca o di rifiuto espresso nei confronti dell’elemento generale (katholou in greco), dell’individuale (tode ti, “quel qualcosa”) e delle conseguenti determinazioni ( horos designa il limite, il confine). Possono variare con l’età dei soggetti e con il succedersi delle epoche storiche, a volte entrano in fase acuta e più spesso si cronicizzano, sono abbastanza pericolose, ma nel complesso fanno dell’uomo «l’unica creatura sana, o suscettibile di guarigione, nel mondo», perché, come precisa poco dopo Noica, «il disordine dell’uomo è la sua fonte di creatività».
La trattazione cerca di dare forma sistematica all’intrecciarsi di intuizioni e argomentazioni, suggerendo una costruzione circolare e simmetrica che metta in successione catholite, todetite, horetite, ahoretia, atodetia e acatholia: si parte dal difetto di un senso generale, si patisce la mancanza di individualità, ci si confronta con la penuria e con l’insofferenza per una specifica determinazione, si sconfina infine nell’insofferenza verso individuale e generale. Nella sua apparente astrattezza, lo schema serve a contenere un pensiero in continuo movimento, che Noica riesce a rendere trasparente attraverso il ricorso ad alcune figure emblematiche della cultura occidentale, da Don Giovanni (nel cui libertinismo trionfa il disprezzo per ogni ideale assoluto) a Don Chisciotte, che tende a identificarsi in modo spasmodico con un modello, nella fattispecie quello cavalleresco.
A volte la corrispondenza è completa e immediata, come accade in Aspettando Godot, dove Samuel Beckett mette in scena la rassegnazione davanti all’avanzare dell’indeterminato. Ma può anche capitare che la rappresentazione sfugga di mano, reintroducendo per via laterale gli aspetti che l’autore intende negare: da Guerra e pace, per esempio, continuano a emergere le personalità individuali la cui rilevanza Tolstoj cerca continuamente di smentire. Eclettico e imprevedibile, Noica torna a più riprese sulla parabola evangelica del figliol prodigo, invitando ad allargare lo sguardo sull’intera famiglia (il fratello maggiore, in particolare, è un caso conclamato di catholite, preso com’è a difendere gli angusti valori domestici), ma si appoggia spesso alla sua stessa esperienza di intellettuale perseguitato, ricordando tra l’altro di essere stato condannato al domicilio coatto e addirittura imprigionato fra il 1958 e il 1964.
La scelta dell’esilio «sui Carpazi», e cioè nella località transilvana di Paltinis, risale al 1975, anno in cui il filosofo smette di insegnare all’Università di Bucarest. Di pagina in pagina, Sei malattie dello spirito contemporaneo diventa sempre più una riflessione sul ruolo dello «spirito romeno nella congiuntura attuale», secondo la dizione del titolo originale. Nel capitolo conclusivo, infatti, Noica si interroga su quale possa essere l’apporto della cultura e più ancora della lingua nazionale nel contesto che ha appena descritto con abbondanza di suggestioni. La risposta sta in una preposizione difficile da tradurre, intru, che indica insieme la durata e il movimento, la destinazione e l’intenzione. Non è ancora la guarigione, forse. Ma di sicuro può essere un’ottima terapia.