Lo storico scozzese Niall Ferguson - Ansa
Niall Ferguson è ottimista. Lo storico ha appena pubblicato Catastrofi. Lezioni di storia per l’Occidente( Mondadori, pagine 512, euro 36,00), una cronaca di tutte le tragedie che l’umanità ha affrontato e che, lette alla luce della pandemia di oggi, lo convincono che il peggio sia passato. «Dovremo convivere con il Covid-19 per anni ma è molto probabile che non ci colpirà più come all’inizio. Resta il rischio di dover fare i conti con una sua variante più contagiosa e più letale e, per questo, dobbiamo essere pronti con un piano di vaccinazioni – spiega –. La certezza non può esserci ma il mio istinto mi dice che siamo all’inizio della fine di questa crisi. Ci sarà, però, un’altra pandemia, anche se non sappiamo quando».
Qual è la lezione che possiamo trarre da tutti i disastri che hanno afflitto e affliggono l’umanità?
«Anche se abbiamo fatto tanti progressi scientifici, nel corso dei secoli, la reazione dell’umanità è rimasta la stessa. Facciamo fatica a pensare razionalmente. Passiamo dal considerare una catastrofe come irrilevante a darle un peso esagerato. Non riusciamo a essere davvero consapevoli della nostra mortalità, come dimostrano le proteste dei no-vax, che non riescono a riconoscere che la probabilità di morire per il virus è molto più alta rispetto al rischio di amma-larsi per colpa del vaccino».
Perché non fa distinzione tra disastri provocati dall’umanità e catastrofi naturali?
«La mia teoria è che la storia è segnata da calamità che non sono prevedibili e dipendono da rapporti di potere. Non esiste, quindi, un ciclo di questi cataclismi che sono governati dal caos. Trovo molto artificiale la distinzione tra componente umana e naturale, come il Covid-19 ci dimostra. Alla fine il numero di morti – si tratti di pandemie o di guerre – è determinato dalle decisioni che prendiamo. Anche l’eruzione di un vulcano uccide soltanto se una città è stata costruita sulle sue pendici».
Lei sostiene quello che sembra, a prima vista, un paradosso, ovvero che la nostra società, molto più avanzata scientificamente rispetto a quelle del passato, è per molti aspetti meno capace di fare i conti con un contagio come la pandemia. Perché?
«Non siamo stati capaci di affrontare bene non soltanto questa crisi, ma anche altre del passato come la diffusione dell’Aids o la minaccia del terrorismo islamico. Gli ultimi vent’anni ci hanno presentato tanti fallimenti nella gestione dei disastri che sono dovuti alla burocrazia, si tratti di salute pubblica o di crisi finanziarie. Le autorità competenti si sono dimostrate inefficienti e non esiste competenza scientifica che possa compensare questa mancanza di azione».
Che ruolo hanno giocato i politici?
«Una buona parte del mio libro è dedicata a questo tema. I leader non sono sempre le figure chiave per affrontare con successo un’emergenza e il fallimento va cercato più in basso nella catena di comando. Nel caso del Covid dobbiamo incolpare i burocrati responsabili della salute pubblica nella maggior parte dei Paesi occidentali e possiamo esserne sicuri di questo perché a Taiwan e nella Corea del Sud dirigenti e funzionari hanno reagito più rapidamente all’inizio e controllato il virus con successo. Purtroppo, come Max Weber ha osservato oltre cento anni fa, lo Stato moderno è molto burocratico ed è diventato sempre più lento e inefficiente perché i suoi funzionari non devono competere con nessuno e non sono soggetti alle forze del mercato. Dobbiamo imparare dall’Asia orientale come modernizzare lo Stato con la tecnologia e allontanarci dal sistema sclerotico che abbiamo oggi».
Esiste il rischio che il modello di democrazia liberale dell’Occidente venga seriamente danneggiato dalla pandemia e che la Cina abbia possibilità in più di esportare il proprio approccio antidemo- cratico perché può sostenere che noi occidentali siamo stati vittime di cattivi governi che non hanno riconosciuto la necessità di uno Stato più forte?
«La pretesa cinese di aver gestito questa pandemia meglio delle democrazie occidentali è ingiustificata e manca di credibilità perché il virus proviene da Wuhan e si è diffuso perché il partito comunista di quel Paese, sia a livello locale che nazionale, ha nascosto quello che stava succedendo. Né le drastiche restrizioni delle libertà individuali introdotte in Cina per controllare la pandemia possono essere replicate in una società libera. I Paesi che sono riusciti a fermare il virus senza drastici lockdown, negli ultimi due anni, sono stati Taiwan e Corea del Sud che sono democrazie. È chiaro che l’approccio cinese lascia il Paese in una situazione bloccata, aggravata dalla diffusione di altre varianti come Delta e Omicron e dal fatto che i vaccini cinesi funzionano meno bene dei nostri».