«Non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono...», cantava Giorgio Gaber. Noi oggi, per le strade di Varsavia e Cracovia, fino ad arrivare a quelle di Kiev - per la finale di domani sera contro la Spagna - per nostra fortuna, ora più che mai, ci sentiamo orgogliosamente italiani. Può una partita di calcio farci fare il pieno collettivo, a costo zero, di fierezza italica e rinsaldare quel sano spirito patriottico, smarrito da tempo? Sì, perché sta accadendo a Euro 2012. E non succedeva più da tanto, di andare a testa alta per l’Europa e ricevere i complimenti dalla gente, e non solo quella degli stadi di Polonia-Ucraina, che ha riconosciuto qualcosa di nuovo e di originale in quest’Italia di Cesare Prandelli. E se è vero che il calcio è lo specchio di un Paese, allora forse possiamo tornare anche a sorridere. Finalmente sorride anche il nostro nevroromantico Mario Balotelli. «Se Mario fa le cose semplici, tipiche dei fuoriclasse, può diventare grande e con lui tutta la Nazionale», aveva detto Ricky Albertosi alla vigilia della semifinale di Varsavia. Ed è stato profetico il grande portiere di Italia-Germania 4-3, ai Mondiali di Messico ’70. Mario ha rimandato ko i tedeschi e ha fatto tutto con semplicità disarmante: primo gol di testa su assist pennellato dal suo gemello non troppo diverso, almeno alla sua età, Antonio Cassano. Secondo gol, un capolavoro per la preparazione, lo stop a seguire su lancio di Montolivo e un tiro di potenza inaudita da degno nipote di "Rombo di Tuono", Gigi Riva (l’altro Gigi nazionale che manca tanto nello staff azzurro). Una doppietta che mette tutti d’accordo: il ragazzo è un campione. Noi lo sappiamo da tempo, il suo problema è solo nel coordinamento neurologico e nel perenne conflitto interiore. La guerra di Mario comincia dall’infanzia, da quella malformazione (il megacolon) fino al trauma dell’abbandono dei genitori naturali. Se non avesse trovato l’amore incondizionato di Franco e Silvia che l’hanno preso in affido e messo insieme ai loro tre figli (Corrado, Giovanni e Cristina) forse oggi non saremmo qui a raccontare dell’impresa contro i tedeschi che porterà per sempre la firma del primo black-italian della storia del calcio italiano. «Se non avessi trovato questa famiglia, forse sarei finito in Africa in qualche villaggio, o magari non sarei neppure vivo», confessò tempo fa il giovane Mario. Uno che molto prima dell’incontro con mister stupore Prandelli, conviveva già con la voglia matta di spiazzare il mondo e quello strano senso di estraniamento da tutto ciò che lo circonda. Mario che fa a pugni con il vento, che allunga il muso fino all’erba del campo e che piange di rabbia quando una Curva assassina gli gridava: «Non esiste un nero italiano». Sì che esiste un nero italiano, ne esistono tanti per fortuna, e Balotelli è anche il miglior talento espresso nell’ultimo decennio (ora aspettiamo anche Ogbonna) dal nostro calcio. Qui, se ne sono accorti prima gli inglesi, ai quali con freddezza da giocatore consumato (alla Pirlo) ha rifilato uno dei 4 rigori vincenti. Poi è toccato ai tedeschi che hanno pianto lacrime di dolore dinanzi alla supremazia tecnica e allo strapotere fisico di questo ragazzo che 18enne - appena 4 anni fa - in un Inter-Manchester United zittiva perfino Cristiano Ronaldo.Ma non è un duro Mario, ci gioca. Vive e gioca d’istinto. Se si toglie la maglia dopo il secondo gol alla Germania, non è per irridere l’avversario, «ma perché mi dite sempre che devo esultare - ha detto, ridendo -. L’ho fatto… Adesso qualcuno avrà visto il mio fisico e magari sarà geloso». Guardi i muscoli d’acciaio scuro di Balotelli e pensi che è un gigante e invece è sempre il ragazzino di ieri che alla fine della partita va a cercare in tribuna il bacio, salato di lacrime di gioia, di mamma Silvia, arrivata fino a Varsavia per vedere la prima doppietta in azzurro del suo Mario. «Se a Kiev alla finale viene papà Franco, ne faccio quattro di gol alla Spagna», è la sua promessa.Balotelli, in un attimo di umiltà, un giorno ha detto: «Mondiale e Pallone d’Oro sono i miei due grandi obiettivi. Magari non li raggiungerò, ma pormeli mi aiuta a non montarmi la testa e a non accontentarmi mai». Vivi il tuo tempo Mario, e continua a farci sentire orgogliosi di essere anche i tuoi fratelli d’Italia.