Brad Pitt in "Ad astra" di James Gray, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia (Francois Duhamel/20th Century Fox )
Lo spazio più profondo e oscuro per esplorare il mistero delle relazioni umane, in un viaggio intimo e personale sullo sfondo dell’infinito. Ad Astra di James Gray, interpretato e coprodotto da Brad Pitt al fianco di Tommy Lee Jones, Liv Tyler, Ruth Negga, presentato ieri a Venezia e in uscita nelle nostre sale il prossimo 26 agosto distribuito da Fox, è un film di fantascienza piuttosto atipico, antiepico e poco spettacolare, che parte dalla storia di una missione su Nettuno per esplorare il rapporto tra un padre scomparso da anni tra stelle e pianeti e un figlio deciso a ritrovarlo.
Quell’abbandono infatti ha fatto sì che il Maggiore Roy McBride, astronauta alla ricerca di vita aliena nell’universo, non sia stato capace di costruire una soddisfacente vita sentimentale. Solitario, incapace di esprimere le proprie emozioni e convinto che tutte le risposte della vita siano da scovare nello spazio profondo, Roy vive ancora idolatrando il padre, da tempo creduto morto.
«La Storia e il Mito hanno sempre origine nel microcosmo di un essere umano » dice il regista, che dichiara di aver lavorato su elementi archetipici pensando anche ad ossessioni come quelle raccontate in Moby Dick e Cuore di tenebra. «Così come Gray – dice invece Brad Pitt, che i fan hanno atteso lungo il tappeto rosso sin dalle prime ore del mattino – anche io sono cresciuto con i film americani degli anni Settanta e queste sono le storie che mi catturano e mi guidano. Da produttore penso sempre che se una storia commuove me potrebbe commuovere anche molti altri. Tutti abbiamo la nostra dose di dolori, fin dall’infanzia. Se un attore è sincero nel modo di trasmetterli, anche lo spettatore percepirà il dramma del personaggio».
E a proposito dello spazio, aggiunge: «Da bambino non ho mai sognato di andarci, l’ho sempre immaginato come un luogo troppo solitario. Sono molto più a mio agio nella natura, insieme ai miei amici più cari». Non tutto torna in questo tardivo romanzo di formazione che ai momenti più introspettivi alterna elementi tipici del genere, ma l’interpretazione di Pitt lascia il segno e guarda lontano, ai prossimi Oscar.