Il concerto all’Odeon di Erode Attico ad Atene per Ravenna Festival (Silvia Lelli)
Atene Medea, la straniera, abita (ancora) ad Atene. Sta davanti ad un negozio con la saracinesca abbassata sulla quale qualcuno con la bomboletta spray ha scritto (in inglese) crisis. Il colore è ormai sbiadito. Perché la crisi in Grecia è iniziata nel 2009. Ed ora è (dovrebbe essere) superata. Basta sacrifici. Lo promette dagli schermi tv Kyriakos Mitsotakis, forte della vittoria che nelle elezioni di domenica ha consegnato al suo partito Nea Dimokratia la maggioranza del parlamento e ha chiuso l’era di Alexis Tsipras. Lei, la donna straniera, è seduta a terra, lo sguardo basso a osservare i due figli che tiene addormentati in braccio, fiaccati dal sole a picco di mezzogiorno. Il termometro segna 41 gradi. Nessuna richiesta alle poche persone che passano. Per lei la crisi non è finita. Sono tante le saracinesche che ad Atene non si alzano da tempo, diventate muri sui quali i ragazzi disegnano graffiti. Muri da abbattere perché «senza la Grecia l’Europa non ha senso di esistere ». Lo dice Riccardo Muti con sottobraccio la partitura della Nona sinfonia in re minore di Ludwig van Beethoven mentre entra nell’Odeon di Erode Attico. Il sole è calato, sopra la skené spunta la luna e i grilli cantano tra gli ulivi, come quando intorno all’acropoli c’erano solo campi. «Qui ci sono le radici della cultura e della civiltà occidentale» riflette il direttore d’orchestra guardando oltre le gradinate di marmo, verso il Partenone: il tempio dedicato ad Atena è un cantiere senza sosta, la facciata imbragata dai ponteggi che cercano di tenere insieme pezzi di un passato dal quale – qui lo respiri – veniamo. Un cantiere, come l’Europa. «La democrazia è nata qui. Una fratellanza politica è possibile, basta volerlo. Non è utopia. Certo, ci sono tanti elementi che entrano in gioco, primo fra tutti quello economico dal quale sembra non si possa prescindere. Ma sono convinto che oggi più che mai occorra ripartire dalla cultura. Stiamo perdendo il rapporto con la spiritualità e il rischio per i giovani è di cadere disperati nella delinquenza » avverte Muti aprendo la partitura e indicando le parole di Friedrich Schiller, quelle dell’Inno alla gioia che chiude la Nona. Scelte, non a caso, come Inno d’Europa.
La Nona risuona nella nuova tappa de “Le vie dell’amicizia”, il ponte di fratellanza attraverso la musica di Ravenna festival, partito nel 1997 da Sarajevo e che martedì ha fatto scalo ad Atene nell’Odeon di Erode Attico, teatro adagia- to al pendio dell’acropoli: un muro impressionante di 5mila persone – in prima fila, accanto a Cristina Mazzavillani, il ministro della Cultura uscente (il nuovo governo ha giurato proprio martedì) Koniordou –, un grande abbraccio, immagine palpitante di quello auspicato da Schiller, a stringere i ragazzi dell’Orchestra giovanile Luigi Cherubini ai quali Muti ha voluto si unissero sei orchestre greche, giovani e meno giovani, da Atene e Salonicco. Il direttore li ha plasmati in pochi giorni di prove lavorando sul suono (compatto e bello) e sullo stile. «E penare che in Italia ci sono regioni come la Basilicata che non hanno orchestre sinfoniche» commenta amaro il direttore che non risparmia una frecciata a Roma: «Da noi i ministri della cultura hanno una cultura necessaria per ricoprire questo ruolo?». Ma basta un attimo e la vertigine di essere nella storia ti prende. Orchestrali e coristi – a unirsi alle formazioni locali il coro Costanzo Porta – entrano dal parodos. E l’effetto è quello di un ritorno a quando un popolo, il popolo greco, si ritrovava a teatro per guardarsi dentro. Un rito collettivo, sacro, una sorta di lettino di Freud dove oggettivare ed esorcizzare paure e miserie per rialzarsi e ripartire. Entrava dal parodos il coro nella tragedia greca e dava il via al rito. Anche Muti entra da lì, attacca Beethoven che all’inizio della Nona mette un suono primordiale, quasi di un’orchestra che accorda. Il suono di una (ri)partenza. E all’Odeon, a picco sulla musica, ti sembra di essere tirato dentro quel suono per un viaggio che è il tornare alle origini del pensiero, dell’interrogarsi dell’uomo su chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Le domande dei filosofi. Le domande della tragedia. Le domande della fede. Risuonano anche nel Beethoven rigoroso di Muti, riflessione in musica sul senso dell’esistenza per dire che affondano qui le nostre radici, nell’agorà e nella polis. Ma non solo, poggiano salde sulla roccia dell’areopago dove Paolo, indicando l’altare del dio ignoto, parlò agli ateniesi della resurrezione senza essere, però, compreso.
Radici di umanità, da rivendicare con coraggio. Antigone lo aveva fatto infrangendo la legge per seppellire il fratello Polinice. Lo racconta la tragedia di Sofocle che oggi si specchia nella cronaca con il comandante di una nave che va contro le regole per salvare le vite dei migranti. Corto circuito tra teatro e vita reale. Tragico, appunto. Ecco, nell’Odeon, compiersi la catarsi. Come nella tragedia greca. Oggi avviene con Beethoven: tre movimenti strumentali, poi il coro e i solisti (Maria Mudryak, Anastasia Boldyreva, Luciano Ganci e Evgeny Stavonsky) fanno risuonare l’invito: «Abbracciatevi amici». Due popoli si incontrano, guardano il loro passato, rimettono al centro ciò che sono e che sono stati gettando lo sguardo in avanti per ritrovare la rotta. Questa volta, però, sulla scena non arriva nessun deus ex machina a facilitare il finale: la soluzione, sembra dire Muti con Beethoven e Schiller, dobbiamo trovarla (in) noi. Il sigillo nell’applauso liberatorio. «Il nostro fare musica insieme, italiani e greci, è un messaggio politico e civile per dire a chi regge le sorti del Vecchio continente che in Grecia e in Italia ci sono le radici senza le quali l’albero Europa non sarebbe cresciuto» dice il maestro dal podio. Un messaggio che attraversando il Mediterraneo stasera arriva a Ravenna (e in tv su Rai 1 il 5 agosto) dove italiani e greci suonano Beethoven ancora una volta insieme. Per provare a cambiare, con la musica, la storia e provare a dare cittadinanza (e speranza) a Medea, la straniera.