Matteo Forte, come sta il musical in Italia in tempi di crisi?Sta bene perché rispetto a qualche anno fa, penso al 2009 quando è partita l’avventura di Stage Entertainment a Milano, la cultura per questo genere di spettacolo è notevolmente cresciuta. Attenzione, però, sta bene anche se non con i risultati sorprendenti di qualche tempo fa: a confronto del boom di incassi che abbiamo avuto con
La bella e la bestia i 180mila spettatori che abbiamo fatto con
Sister act potrebbero sembrare poca cosa. Anche se, visti i tempi, fanno ben sperare perché, pur nella flessione, il mercato del musical sembra tenere. Da ottobre la nostra sfida è quella della versione italiana de
La febbre del sabato sera che, però, abbandonando l’idea di tenere in cartellone uno spettacolo ad oltranza, sarà in scena sino a fine gennaio per poi cedere il palco ai Legnanesi ai quali affitteremo il Teatro Nazionale per rientrare nei costi.
Dunque anche il musical, dopo anni in cui è sembrato essere la carta vincente, deve fare i conti con l’austerità?Il musical resta ancora una carta vincente perché si rivolge a un pubblico più ampio rispetto a quello del teatro di prosa: il 30% degli spettatori de
La bella e la bestia era costituito da persone che andavano per la prima volta a teatro e che in seguito sono tornate. L’obiettivo è di incrementare il mercato con questo circolo virtuoso. Detto questo e preso atto che un vero e proprio declino non c’è, va rilevato che c’è, però, una presa di coscienza da parte del pubblico che chiede di essere aiutato a discernere tra buone produzioni e spettacoli di scarsa qualità che, purtroppo, ci sono e rischiano di danneggiare anche chi lavora seriamente.
Come aiutare il pubblico in questa scelta?Investendo proprio sulla qualità. Oggi lo spettatore vede un musical l’anno e spesso non riesce ad accorgersi della differenza tra una produzione e l’altra. Sta a noi produttori convincerli. Stage ha portato in Italia un modo diverso di fare musical, con grandi investimenti.
D’accordo, ma la qualità costa e andare a teatro, per una famiglia, rappresenta un discreto investimento in denaro.Un aspetto con il quale fare i conti. Ma ci conforta il modello della Spagna, colpita duramente dalla crisi: a Madrid, Stage produce
Il re leone e dopo mesi di esauriti abbiamo date già vendute sino a dicembre. Questo dice che la qualità paga, ma anche che per mantenere alto il livello è difficile abbassare i prezzi:
Sister act è costato 3 milioni e mezzo di euro di pre-produzione (scene, costumi, staff creativo internazionale, prove) cifra alla quale vanno aggiunti i costi delle repliche. Questo non ci consente, ad esempio, di fare spettacoli per le scuole perché con biglietti a 10 euro non riusciremmo a sostenere i costi di una recita.
Niente aiuti da fondi pubblici, ad esempio dal Fus?Per ora non abbiamo nessun sostegno di questo tipo. Anche se quest’anno stiamo provando a chiedere i contributi del Fondo unico per lo spettacolo visto che le nostre caratteristiche sono quelle di un teatro stabile.
A proposito Stage è arrivata in Italia prima a Milano e poi a Roma, ma dopo due anni nella Capitale il Brancaccio ha dovuto chiudere i battenti. Come leggere questo dato?Roma ha un mercato molto più legato a spettacoli che hanno una relazione con la città e a personaggi che hanno uno stretto rapporto con la romanità. Milano ha un respiro più ampio. Detto questo la scorsa stagione
Mamma mia! con 120mila spettatori è stato lo spettacolo più visto nella capitale. Ma quel dato non era soddisfacente perché rappresenta il 50% di quello che facciamo a Milano: non possiamo permettercelo e quindi abbiamo chiuso.
Per il prossimo anno si annunciano molti musical: non c’è il rischio di saturare il mercato e di stancare il pubblico?No, al contrario, questo mercato deve essere largamente esteso a chi decide di spendere in intrattenimento: dobbiamo attingere ai frequentatori di ristoranti e di cinema e convincerli che passare una sera a teatro ne vale la pena. La concorrenza, purché di qualità, non può che far bene.
Quali risorse mettere in campo per risollevarsi dalla crisi?Produrre e dare lavoro a giovani talenti: nel cast de
La febbre del sabato sera i protagonisti, Gabrio Gentilini e Marina Maniglio, sono due ragazzi che hanno iniziato a lavorare con noi e che sono cresciuti di spettacolo in spettacolo. Si scoprono talenti e si offrono concrete possibilità ai nostri giovani.