martedì 14 gennaio 2020
Lo storico cattolico è morto ieri a 96 anni. Mise al centro delle sue ricerche il ruolo della paura tra radici e conseguenze. Una lezione che molto può dire anche sulla nostra contemporaneità
Jean Delumeau in un frame di una recente intervista a una tv francese

Jean Delumeau in un frame di una recente intervista a una tv francese

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Come si può, da storici, scrivere del Paradiso e dell’Inferno, vale a dire per qualcosa che per i credenti sta al di là del tempo e dello spazio fisici, quindi per definizione al di là di quel che è, appunto, oggetto di storia? Si può capire Jacques Le Goff, che ha scritto la storia del Purgatorio, che del resto secondo la dottrina cattolica sparirà con la fine dei tempi, quindi in fondo nella storia c’è. E poi Le Goff mica ci credeva nel Purgatorio: lui si limitava a far la storia appunto di com’era nata la credenza, per lui era come scrivere un libro di mitologia.
Anche Delumeau ha fatto la stessa cosa, per il Paradiso e per l’Inferno. La differenza è che lui era cattolico, e credeva in entrambi. «Ora conosce…», come diceva Dante. Da alcune ore – secondo il metodo come lo computiamo noi – lo sa. A noi restano l’ammirazione per le sue opere e il dolore per la sua scomparsa, avvenuta ieri a Nantes, dove era nato nel 1923.
«Terribile è la forza delle cose che non sono», diceva alla fine dell’Ottocento Arturo Graf: e lo diceva a proposito del diavolo: ma anche lui non ci credeva. Jean delumeau gli avrebbe risposto che la forza delle cose che invece sono, anche se ordinariamente non si vedono e non si possono vedere, è ancora più forte.
Jean Delumeau è stato professore di storia moderna all’università di Rennes (1957-70), poi a Parigi-Sorbona (1970-75), infine al Collège de France (1975-1994), dove ha insegnato storia delle mentalità religiose nell’Occidente moderno. Membro dell’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres (dal 1988), si è dedicato inizialmente alla storia di Roma nel Rinascimento (La vie économique et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVIe siècle, 2 volumi, 1957-59; Rome au XVIe siècle, 1977; trad. it. 1979), della storia della Riforma luterana (Naissance et affirmation de la Réforme, 1965; trad. it. 1975; Le catholicisme entre Luther et Voltaire, 1971; trad. it. 1976), delle prospettive del cristianesimo nella contemporaneità (Le christianisme va-t-il mourir?, 1977; trad. it. 1978 Un christianisme pour demain, 2004).

Indubbiamente, però, il suo nome si lega agli studi sulla paura che hanno caratterizzato il suo lavoro fra la fine degli anni ’70 per un decennio: ricordiamo almeno La peur en Occident (XIVe-XVIIIe siècles): une cité assiégée (1978; trad. it. 1979); Le peché et la peur. La culpabilisation en Occident (XIIIe-XVIIIe siècles) (1983; trad. it. 1987); Rassurer et protéger (1989). In anni più recenti ha invece pubblicato, tra il 1992 e il 2000, tre grandi volumi sulla storia del paradiso e, per un pubblico più ampio, una sintesi di questa storia, che collega alle preoccupazioni più contemporanee, in cui il paradiso rimane, nonostante le difficoltà attraversate dal cristianesimo, un orizzonte impraticabile e desiderabile.
Cattolico praticante ma critico, auspicava misure d’urto adeguate ai nostri tempi per salvare la Chiesa, a partire da una revisione profonda del ruolo delle donne. La sua scomparsa è ancora più sentita e pesante in un momento qual è il nostro, in cui la Chiesa cattolica è percorsa da una frattura profonda fra la voglia di cambiamento, impersonata agli occhi di molti da papa Francesco, e tendenze pseudotradizionaliste, che in realtà vorrebbero fare del cattolicesimo uno strumento politico al servizio del “governo profondo” del mondo e di chi lo comanda a suo profitto. Un’idea impensabile per una fede che nasce plurale e universalista. Leggetevi il libro di Nicolas Senèze, vaticanista di “La Croix”, Comment l’Amérique veut changer de pape (Bayard 2019).
Ammettiamolo: anzi, dichiariamolo. Delumeau ci ha lasciati in un momento nel quale abbiamo tutti paura. I suoi capolavori scritti fra ’78 e ’89 sulla paura e il bisogno di sicurezza avevano colto nel segno del presente: più di quanto egli stesso non avrebbe mai immaginato.
E proprio le opere di Jean Delumeau sul tema della paura potrebbero essere di guida nel momento che attraversiamo. L’indagine dello storico francese partiva non dalla “paura” come se fosse qualcosa di dato e di oggettivo, bensì dal ruolo della paura nella storia, in modo particolare nell’Occidente preindustriale, provando a comprendere le dinamiche sociali entro le quali si produce, quali sono le conseguenze. Per farlo attingeva, secondo la migliore tradizione della storiografia francese a partire da quella delle “Annales”, alle scienze sociali: psichiatria, psicologia, sociologia, antropologia.

Esiste una paura istintiva e naturale: «La paura è tuttavia ambigua. Inerendo alla nostra natura, essa costituisce un bastione essenziale, una garanzia contro i pericoli, un riflesso indispensabile che permette all’organismo di sfuggire provvisoriamente alla morte. (…) Ma se essa supera una dose sopportabile, diventa patologica e crea dei blocchi» (La paura in Occidente, p. 19). Tuttavia, la base di partenza che psichiatria o antropologia possono dare non basta allo storico, il quale coglie anche meccanismi politici e sociali che inquadrano la crescita del sentimento di paura che diviene angoscia; il suo studio più celebre ha come sottotitolo “la città assediata”, che per Delumeau è la Chiesa fra secoli dal XIV al XVII, ossia fra la Peste Nera e il periodo succesivo alla Riforma. Il Turco, gli ebrei, gli eretici, le donne, in particolare le streghe, sono la proiezione di queste paure, che agiscono sia a livello popolare, sia nelle gerarchie di potere.
Una lezione, insomma, al di là di possibili revisioni della sua opera e delle sue posizioni, sempre lecite in ambito storiografico, che molto può dire anche sulla nostra contemporaneità. Così come è una lezione il modo in cui Jean Delumeau ci ha lasciati: secondo il quotidiano “La Croix”, lo storico stesso aveva preparato un testo che sarà letto al suo funerale. «La mia vita ha avuto i suoi dolori e le sue gioie, i suoi fallimenti e i suoi successi, le sue ombre e le sue luci, i suoi difetti, gli errori e le inadeguatezze, ma anche i suoi entusiasmi, i suoi impulsi e le sue speranze. Ho finito la mia gara. Possa io addormentarmi nella tua pace e nel tuo perdono! Sii il mio rifugio e la mia luce. Mi arrendo a te. Entrerò nella terra. Ma che il mio ultimo pensiero sia quello della fiducia».

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