sabato 11 febbraio 2017
Aumentano le scuole del Dragone che si rifanno al metodo pedagogico, ma latita la qualità. Dal 2016 docenti italiani tengono corsi specifici. Parla la sinologa Stafutti
«Così la Cina guarda al metodo Montessori»
COMMENTA E CONDIVIDI

Maria Montessori è una pedagogista apprezzata in tutto il mondo, anche in Cina. Dove il suo nome viene 'usato' come un marchio di qualità da diverse scuole private, anche se nelle aule mancano i materiali didattici indispensabili per l’applicazione del suo metodo. Eppure dal gennaio 2014 nella regione di Henan, a Zhengzhou, l’Opera nazionale Montessori è presente con un centro internazionale di formazione, che nell’estate 2016 ha tenuto i suoi corsi nei locali dell’Ambasciata italiana presente nella capitale cinese. All’inaugurazione del centro partecipò anche Stefania Stafutti, direttore dell’Istituto Italiano di cultura a Pechino fino al dicembre scorso. Docente di Lingue e Letterature della Cina e dell’Asia sud-orientale all’Università di Torino, l’11 febbraio la sinologa terrà una relazione su 'La formazione dell’Opera nazionale Montessori in Cina' al convegno 'La scuola Montessori: un aiuto alla vita', in programma nella biblioteca comunale 'Italo Calvino' del capoluogo piemontese.

In che anno e per quali vie il metodo Montessori è arrivato in Cina?

«Il metodo è arrivato nei primi decenni del XX secolo, ma non ha avuto più alcuna influenza dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese fino all’inizio del XXI secolo, anche se sono nate diverse associazioni 'ispirate', ma con scarsi o nulli contatti con la casa madre. È il caso, per esempio della 'Chinese Montessori Society', nata nel 2002».

Cosa pensano gli intellettuali cinesi di Maria Montessori? Come mai è una figura conosciuta in terra cinese?

«È stata riscoperta di recente, anche in relazione alla centralità che ha oggi l’educazione nella famiglia cinese. Fino al 2014 era in vigore la politica del 'figlio unico', che aveva come conseguenza il fatto che su quell’unico figlio si concentrassero le attenzioni e anche gli investimenti delle famiglie. Per i non addetti ai lavori l’interesse verso la Montessori è certamente un generico interesse verso un metodo educativo 'straniero', con scarsa conoscenza del metodo in sé. Nei testi di pedagogia cinese più recenti ha invece un suo posto, anche se non estremamente ampio. L’Opera nazionale Montessori ha iniziato da pochi anni a formare i docenti secondo i protocolli autentici, ma va detto che rimaniamo nel- a l’ambito di una formazione 'privata': si tratta di formazione pre-scolare, erogata da soggetti privati, pure se di concerto con le Autorità, e ancora piuttosto elitaria».

In che modo i valori di Maria Montessori vengono promossi dagli insegnanti cinesi e sono inculturati nel tessuto sociale?

«Ribadisco che si tratta di un fenomeno estremamente di nicchia. In ogni caso, viene apprezzato il percorso di responsabilizzazione del bambino come parte di un contesto sociale più ampio e complesso. Anche questo è in parte collegato agli 'effetti collaterali' della politica del figlio unico. Si è creata quella che anche gli educatori cinesi hanno chiamato 'sindrome del piccolo imperatore': un unico figlio sul quale si concentravano le attenzioni e le aspettative di genitori, nonni, ecc., con una grossa pressione psicologica rispetto alle 'performance' del bambino (e quindi corsi di ogni tipo oltre la scuola e in età molto tenera). E, nel contempo, disponibilità assoluta ad assecondare ogni capriccio del bambino purché - appunto - garantisse la performance, con un modello molto competitivo e assai poco 'solidale'».

A suo parere, in che modo la figura di Maria Montessori potrebbe essere correttamente valorizzata in Cina?

«Innanzitutto cercando di mettere ordine nel mare magnum delle istituzioni private, spesso molto orientate in senso commerciale, che 'vendono' la propria formazione come formazione montessoriana, con scarsa o nulla attendibilità scientifico-pedagogica rispetto al metodo originale».

La Cina è un Paese molto vasto. Ha notato differenze nella ricezione da parte degli insegnanti dei valori montessoriani, a seconda delle diverse zone da cui provengono?

«Come dicevo, si tratta ancora di un fenomeno di nicchia e assolutamente urbano. L’Opera nazionale Montessori è presente ufficialmente a Zhengzhou e Shanghai, anche se insegnanti formati attraverso i corsi che l’Opera organizza sono in varie aree del Paese».

Come si è svolta la formazione dei docenti nel corso promosso l’estate scorsa a Pechino dall’Opera Montessori?

«Con la presenza di docenti venuti dall’Italia: se ne sono avvicendati diversi, in quasi due mesi. Era un corso molto intensivo, dalle 9 alle 17, con lezioni spesso anche di sabato. I docenti-formatori simulavano i percorsi didattici e le diverse esperienze da replicare poi in classe. Le lezioni avvenivano in italiano, con traduzione consecutiva, per evitare più di una mediazione linguistica e trasmettere le informazioni in modo quanto più possibile corretto. I partecipanti erano tutti estremamente motivati. Si trattava di persone già attive in ambito pedagogicoeducativo. La classe era 'armoniosa' e lavorava con molto impegno. Tra le giovani insegnanti c’era una donna che si è sposata durante lo svolgimento del corso, assentandosi soltanto il tempo strettamente necessario della cerimonia».

Possiamo dire che 'Montessori' venga considerato un 'bollino di qualità' in alcune scuole ma che manchi poi la sostanza del suo metodo nella didattica?

«Direi piuttosto che il cosiddetto 'bollino' costituisce elemento di confusione, che non va a beneficio del metodo seriamente inteso».

Che impatto positivo può avere la formazione montessoriana nelle nuove generazioni cinesi?

«Non sono una pedagogista. Certamente un’educazione che riporti al centro le regole, la responsabilità e il rispetto reciproco, nonché la 'conquista' delle competenze attraverso il personale impegno e sforzo, non può che avere un effetto positivo. Ma questo, forse, non soltanto in Cina...».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: