sabato 26 luglio 2014
«Avevo perso la voglia di lottare. Poi un giorno il mio nipotino di otto anni mi ha detto: “Nonno io non posso mica restare senza di te”. La salvezza del calcio saranno la semplicità e le famiglie»
Emiliano Mondonico al Centro Sportivo Monzello per allenare i giocatori di calcio disoccupati (Fotogramma)

Emiliano Mondonico al Centro Sportivo Monzello per allenare i giocatori di calcio disoccupati (Fotogramma)

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«Fino a oggi, ho sempre allenato squadre di dipendenti stipendiati, ora da lunedì sarà il mio “debutto” alla guida di un gruppo di ragazzi che in questo momento dipendono solo da loro stessi, perché sono disoccupati». È l’ultima sfida del “Mondo”, Emiliano Mondonico, che scende dal trattore e abbandona i campi della sua cascina – la “Brusada” di Rivolta d’Adda – per andare a Monzello, al campo dell’Equipe Lombardia. Si comincia lunedì mattina: primo allenamento con quei calciatori (età 25-32 anni) che fino a ieri sorridevano felici con un contratto in tasca per giocare in Serie A, B o al limite in Lega Pro e che ora sono rimasti senza squadra. «Lo so che parlare di “disoccupati del pallone” a qualcuno fa storcere il naso. Erroneamente si pensa ancora che la nostra è una categoria privilegiata, ma non è più così. Qui il sogno è sfumato. Tolta qualche decina, e forse meno, di milionari della Serie A, il resto del calcio professionistico ormai campa con il minimo sindacale – 1.500 euro al mese. Non ci si rende conto che il mondo del pallone è diventato come tutto il resto della nostra società: popolato da lavoratori comuni che dall’oggi al domani si ritrovano senza il necessario per sopravvivere e per mandare avanti la famiglia».

Uno tsunami, quello che si è abbattuto sul nostro poverissimo calcio. Ma che fine hanno fatto quei “patron-paperoni” che fino a un decennio fa elargivano ingaggi da un miliardo di lire per giocare in C1 (vedi Cornacchini nel Perugia di Luciano Gaucci)? «Parecchi di quei presidenti hanno sperperato tutto, hanno fatto bancarotta e sono finiti persino in galera. E anche chi sapeva amministrare bene, a un certo punto ha dovuto mollare – continua Mondonico –. Per chi non se ne fosse accorto, quest’estate è sparita la vecchia C2: la Lega Pro ha perso sedici società ed è passata al girone unico con sessanta squadre, creando queste sacche di dipendenti solo da se stessi e dal proprio destino, che mi dicono troverò in uno stato di rassegnazione e di sconforto preoccupante. Degli sconfitti che pensano di avere fallito per sempre, ma si sbagliano». Ma scusi Mondonico: ma a lei, che tra l’altro è pure senza squadra, chi glie lo fa fare? «Io a 67 anni ho ancora la fortuna di ricevere offerte anche dall’estero e che posso permettermi di rifiutare per dare la priorità alla mia famiglia. Ho accettato questo incarico dopo aver parlato con il presidente Fabrizio Ferrario che da imprenditore trasparente e appassionato mi ha detto: “Per i calciatori dell’Equipe Lombardia l’iscrizione allo stage-ritiro è gratuita e anche lei Mondonico dovrebbe lavorare gratis”. Come rifiutare una simile offerta, così piena di umanità? Poco tempo fa, ero malato di cancro e mi sono sentito come questi ragazzi, a terra, sconfitto».

Il “Mondo” prende un attimo di respiro e poi riattacca: «Avevo perso la voglia di lottare e di vivere. Poi un giorno il mio nipotino di otto anni mi ha detto: “Nonno io non posso mica restare senza di te”. In quel momento ho sentito una scossa vitale ed è quella che mi ha rimesso in piedi e fatto sentire più forte di prima della malattia. Ecco, io ora voglio trasmettere quella stessa scossa che ho avuto in dono dal Cielo a questi ragazzi. Devo fargli capire che la vita è una cosa meravigliosa, anche quando si sta male e che dopo una sconfitta bisogna rialzarsi, subito».

Mondonico vuole «venticinque giocatori al massimo. Professionisti che devono rilanciarsi dopo un’esperienza negativa, un’annata storta o che magari devono riprendersi da un infortunio. L’obiettivo garantito è che tutti abbiano l’opportunità di mettersi in mostra e alla fine del mese di ritiro di trovare un’adeguata sistemazione. Chiaramente, sempre che abbiano lavorato bene e si meritino questa nuova chance».

Nel progetto ha coinvolto anche il Centro Sportivo Italiano, con il quale collabora da anni per il ritorno a un calcio di stampo oratoriale. «Basta con queste fesserie di potenziare i vivai o degli stadi di proprietà come primo rimedio alla crisi attuale del nostro calcio, sempre più in mano alla “P2”, presidenti e procuratori. Io sono per la terza P, quella di “papà”. Negli allenamenti che svolgo all’oratorio di Lodi io chiedo ai papà, ma anche alle mamme, di entrare in campo una volta a settimana e di giocare assieme ai loro figli. Il primo allenatore del bambino deve essere il genitore, non io. Il tecnico subentra e ha un peso specifico dai dieci anni in poi del ragazzo, al quale va inculcato un concetto senza più punto interrogativo: “Campioni si nasce e si diventa”».

Parola di uno che di campioni, dai talenti del Toro anni ’90 a Pippo Inzaghi, ne ha cresciuti e lanciati un’infinità. «Eppure io mi sono sentito più utile di quando allenavo in Serie A, dal momento che all’oratorio di don Diego, a Rivolta d’Adda, ho cominciato a seguire formazioni composte da alcolisti, tossicodipendenti e ora di sempre più persone affette da ludopatia, che ho scoperto essere la dipendenza più dura da sconfiggere». Squadre speciali agli ordini del generoso e infaticabile “Mondo”, e che potrebbero incrociare per un giorno la formazione dell’Equipe Lombardia. «I nostri allenamenti saranno aperti a tutti e cercheremo di incontrare persone anche distanti dal calcio, professionisti e imprenditori che, oltre a dare una carica motivazionale, faranno capire ai miei ragazzi che nella vita esiste sempre un “piano B”. Ai giovani che cominciano adesso, dico di studiare e di prepararsi bene con le lingue, perché la globalizzazione, anche nel calcio, impone sempre più nuove conoscenze. E se uno non riesce a trovare una sua dimensione nei nostri campionati è bene che cominci a cercare altrove, se crede fino in fondo che diventare un professionista è il sogno che intende realizzare».

Il sogno allora non è ancora finito? «Il calcio italiano per uscire dal tunnel ha bisogno che ognuno di noi cominci a dare davvero il meglio. Chi può, deve mettere a disposizione le proprie competenze in forma di volontariato, che è sempre stata la grande risorsa di questo Paese. Oggi più che mai». Mondonico risale sul trattore, da lunedì si comincia a ricoltivare il sogno.

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