Non siamo il Brasile, non siamo la Spagna e neppure il Paraguay, ma chi siamo? Gioca, a tratti domina, ma ha poca qualità, è leggerina davanti. E alla fine raggiunge gli avversari, ma non vince. La Nazionale al debutto ci insegna a 10mila chilometri dall’Italia che si può perdere la propria identità, anche in soli 90 minuti, pur se giocati tutti di corsa. Poca quiete dopo la tempesta, vissuta dai 60mila temerari spettatori fradici e stremati dal freddo (molti i biglietti omaggio ai lavoratori dei cantieri mondiali, anche loro costretti ad assistere…) per colpa delle folate del Cape Doctor, il vento gelido dell’Antartide che si è infranto sul Green Point Stadium di Cape Town. Un oceano di paure e un’incertezza che nel primo tempo si era fatta abissale, si è riversata contro la squadra azzurra. La stampa italiana, già licenziata da Special Lippi («se non avete ancora capito la formazione, potete anche cambiare mestiere», aveva bofonchiato alla vigilia), finalmente a un’ora dalla sfida ha la certezza che lo sperimentalissimo e virtuale 4-2-3-1, è un realtà. Ma in certi casi è meglio lasciare al potere l’immaginazione e sognare un’altra squadra, con uno straccio di fantasista, perché no?La fantasia dello Special di Viareggio arriva invece a concedere la corsia difensiva di sinistra a Criscito che rimarrà alla storia per essere il primo genoano, in 117 anni di epopea del Grifone, ad aver giocato a un Mondiale. Al Paraguay dello smaliziato argentino ct Martino basta un’occhiata per capire che questa non è più la banda degli audaci di Germania 2006. Niente "po-popopo-popopo", il secondo inno trionfale fino alla notte magica di Berlino viene oscurato dalle zanzare assordanti, le vuvuzela. Un primo tempo in trance con il Jabulani che per tutti è un pallone leggero come una piuma di struzzo, tranne che per i nostri, ai loro piedi diventa un macigno, impossibile da spedire con un minimo di pericolosità dalle parti di Villar. Così al 39’ il Paraguay passa: punizione di Torres per la testa di Alcaraz che svetta come un Materazzi (ci tocca già rimpiangerlo) e dal cielo saluta gli appollaiati De Rossi e Cannavaro, con Buffon che incassa il primo gol di una missione mondiale tutta in salita. Ma non doveva essere la difesa compatta il punto di forza di questa squadra?La ripresa comincia blanda. Buffon (problemi alla schiena) lascia la sua porta a Marchetti e in sordina arriva al 18’ il pareggio di De Rossi che su calcio d’angolo battuto da Pepe (uno dei migliori in campo) fulmina il bomber Barrios che ripiega malamente in copertura. È il gol che ci dà l’unica certezza: qualcosa di quattro anni fa si è conservato e cortesemente, da qui, potremmo chiamarlo "capo della buona sorte". E l’avevamo capito già con l’urna benevola che ci aveva messo in un girone tutt’altro che dantesco.Così, dal Green Point mezzo pieno d’acqua, possiamo dire che si è rivisto lo stesso spaesamento generale dell’amichevole persa con il Messico, con in più almeno una condizione fisica brillante di quasi tutto il gruppo. Del resto lo Special Marcello ci aveva avvertito: «Quello che accade prima di un Mondiale non conta perché poi si azzera tutto». Con la Nuova Zelanda, domenica, si riparte da un punticino, ma con una prospettiva futura tutta in salita.