Trentadue anni dopo l’ultima finale, trentasei dopo quel Mondiale in cui emise l’urlo primordiale di una grande rivoluzione calcistica, l’Olanda scenderà in campo domenica a Johannesburg per cercare di coronare la storia di una grande scuola di football col titolo mondiale. Strano, quasi spiazzante pensare che possano essere questi giocatori, questa squadra, a salire sulla vetta che ha rifiutato Cruijff e Neeskens, Rep e il “guru” Rinus Michels. Eppure questo sarà, lo dice il campo e lo dice anche il vento delle cose, degli episodi, che spinge inesorabilmente alle spalle di gente, lo sancisce la storia, che il mare aperto lo affrontava per sete di oro, lo stesso materiale di cui è fatta la Coppa del mondo.Perde l’Uruguay, vince l’Olanda a dispetto di una prestazione scricchiolante, l’Olanda che non riesce a capitalizzare lo Jabulani-gol del capitano Giovanni Van Bronckhorst, che azzecca, anche grazie al volatile pallone 2010, un sinistro su cui Muslera fa la figura del pollo: in realtà, la traiettoria e l’angolazione iscrivono il tiro alla categoria “una volta su mille” (18’). Il vantaggio è un grande atout per una squadra che, pur cercando di imprimere il suo marchio alla partita, non era riuscita fino a quel momento a scavare il fossato, a creare problemi se non sfruttando le pochezze del lato sinistro della difesa uruguagia, presidiata dal fresco ex-juventino Caceres.Ma l’Olanda commette errore di presunzione che, amplificato dalla solidità psicologica e tattica degli avversari, rimette in bilico la semifinale. La Celeste gioca, lotta, rimane corta, si appoggia al grande lavoro di quantità e qualità compiuto davanti da Forlan e da uno scintillante Cavani, finalmente a suo agio in un ruolo più centrale rispetto alle precedenti esibizioni. Gli Orange perdono qualche collegamento, perdono il mediano De Zeeuw (che gioca con la maglia numero 14, quella del mito Cruijff ) atterrato da una involontaria scarpata in piena faccia di Caceres, non riescono a colpire in ripartenza perché Sneijder, braccato a tutto campo, è impreciso e nervoso pure. Succede che Forlan ricama e prova il sinistro da fuori area: è centrale, ma sufficiente grazie al capriccioso nume Jabulani e al distratto Stekelenburg a un pareggio che non può dirsi immeritato (40’).Il vecchio maestro Tabarez si ritrova al timone del match e non lo vuole mollare: il quartetto di grandi solisti olandesi è dentro fino al collo nella ragnatela sudamericana retta dai settepolmoni Arevalo e Gargano, inspiegabilmente lasciato in naftalina nella prima parte del cammino mondiale dell’Uruguay. Neanche l’ingresso di van der Vaart, che si installa alle spalle dei trequartisti, restituisce un minimo di geometria e di supremazia all’Olanda, che ha come unica arma la velocità e la tecnica di Arijen Robben, che fa quello che vuole contro lo smarritissimo Caceres: nessuno critichi la Juventus per non averlo riscattato.Agli europei servirebbe la prodezza isolata, la giocata super da fermo o in movimento, la botta di fortuna: servirebbe, in due parole, Wesley Sneijder, apparentemente fuori dal gioco, in apnea come e più dei suoi compagni. E invece il destino, non solo il grande talento, lavora ancora una volta per il Mago Wesley, che nel momento apparentemente più delicato azzecca un destro da flipper tra gambe avversarie e quella di Van Persie, che tra l’altro sarebbe pure in posizione di fuorigioco (70’). In Uruguay sono saggi, e conoscono le parole del vento: tre minuti dopo il 2-1, Robben, di testa, può chiudere con il 3-1 un cross di Kuyt e la storia di questa partita. Troppo tardi la rete di Pereira per il definitivo 3-2 e l’arrembaggio finale dell’Uruguay.L’Olanda va, pronta ad affrontare con tutte le forze rimaste (e non sembrano molte), l’ultimo braccio di mare che può portare all’oro sognato da sempre. Di fronte, la Spagna, o quella Germania che 36 anni fa impedì che la Rivoluzione Orange portasse al potere assoluto. Sarebbe la chiusura del cerchio, l’oro brillerebbe ancora di più.