«La gente ci chiama “perbenisti”, sembra che siamo dei criminali. Penso che essere “perbene”, cantare valori come amicizia, amore, famiglia sia solo il modo di esprimere i pensieri migliori che abbiamo dentro di noi in un mondo che sembra andare a rotoli». Francesco “Kekko” Silvestre è così come lo vedi, diretto, senza filtri, uno che soffre per le critiche, ma al tempo stesso rivendica a testa alta il ruolo di alfieri della musica “nazionalpopolare” per i suoi Modà (oltre Kekko alla voce, Enrico Zapparoli e Diego Arrigoni alle chitarre, Stefano Forcella al basso e Claudio Dirani alla batteria). A distanza di quasi tre anni dal multiplatino
Gioia, i Modà sono appena usciti con il nuovo album
Passione Maledetta (Ultrasuoni/Artist First), già in testa alle classifiche. Dieci tracce a tutta melodia anticipate dal primo singolo
E non c’è mai una fine il cui video, girato a New York è il primo di quattro singoli, legati insieme da un filo conduttore, sceneggiati dallo stesso Kekko, da sempre appassionato di cinema. In attesa di sentire la band dal vivo il 18 giugno 2016 a San Siro, a Milano.
Francesco, anche in questo nuovo disco si parla molto d’amore, di passioni che rischiano di confondere i veri sentimenti, ma anche di realtà quotidiana con l’invito a vivere in modo positivo. «Noi non facciamo dischi fighetti o impegnati, ma canzoni dal linguaggio semplice che rispecchiano la realtà quotidiana. La musica è di tutti. Noi siamo persone semplici, che cercano di restare a contatto con la realtà. Non capisco la parola vip. Dico sempre che il successo della mia vita è aver trasformato la mia passione in un lavoro, quello che fa da sfondo non mi interessa. L’importante è capire il valore delle cose che hai».
Quali sono le cose di valore che lei ha? «Al primo posto tutta la mia famiglia, a partire da mia figlia Gioia che ha 4 anni, sua mamma Laura, mia madre, mio padre, i miei fratelli, tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni e che mi hanno incoraggiato. E poi gli amici, pochi ma buoni, con cui sono cresciuto a Cassina de’ Pecchi, fuori Milano, dove ancora vivo».
Fra chi ha creduto in lei, anche un sacerdote quando era ragazzino all’oratorio... «Sì, don Emanuele. Ho un mio alter ego, che chiamo Frankie, è la parte irascibile di me, ci vuole molto per farmi arrabbiare, ma quando succede, lo ammetto, perdo davvero le staffe. Il don mi diceva sempre che io volevo fare il duro, ma che invece ero una persona buona. Io di momenti di debolezza ne ho tanti, mi lascio coinvolgere dai momenti negativi: ultimamente avevo il rigetto per la musica, ero troppo sotto pressione. Poi, dopo un periodo di stacco, un viaggio in California mi ha fatto ritrovare la voglia di suonare».
L’ha aiutata anche la fede? Nel brano “Ti passerà” canta «ma non si muore senza vivere e lottare/ senza pregare»... «Io prego tutti i giorni. Credo molto in Dio, in Gesù Cristo e negli angeli custodi. Fra questi metto mio zio Luigi, che non c’è più. Ho il suo nome tatuato sul petto e sempre una sua foto con me prima di salire sul palco. Ho molta fede, e questo mi aiuta».
Nel brano “Francesco” lei a 37 anni canta la responsabilità di essere padre, ma anche figlio. «È un passaggio. Cominci a capire certe cose solo quando le vivi. Prima di essere genitori siamo stati tutti figli, ma è quando si diventa genitori che si capiscono le paure e i consigli di chi ci ha cresciuto. Questa è per Gioia e anche per mio padre e mia madre. Come capisco adesso mia madre che mi aspettava sveglia, o mio padre che mi diceva di non fare il galletto».
Dopo i morti al concerto del Bataclan di Parigi, non è un momento facile per la musica... «I fatti di Parigi ci hanno scioccato tutti, soprattutto perché a rimetterci sono stati degli innocenti. Credo che la vita debba andare avanti, che la musica e lo sport debbano andare avanti. E forse le nostre canzoni possono servire a dare un po’ di serenità»
Mai tentato di scrivere sull’attualità? «Lo ammetto, non è nelle mie corde. Ho scritto solo una canzone “impegnata” in questo senso,
Non è l’inferno con cui Emma vinse Sanremo nel 2012. Si parlava di gente che ha passato la guerra, che è sopravvissuta a tutto, ma che fa fatica a portare a casa la pensione. Il vero problema è che ci sono tanti anziani che dopo 50 anni di lavoro, sono poveri e devono andare a mangiare alla Caritas. Conosco personalmente gente che dorme in macchina con i figli piccoli. Lo Stato se ne infischia, invece i poveri e gli indifesi non vanno abbandonati».
Queste cose le dice anche un altro Francesco... «Io il Papa lo adoro perché è il Papa di tutti, il Papa dei poveri. Dovrebbe anche essere nostro Presidente del consiglio...».