Se c’è qualcuno che resta indifferente a tutto questo cancan sulla rivoluzione in 3d nei cartoni animati è Hayao Miyazaki, maestro universalmente riconosciuto dell’anime, il cartoon d’eccellenza nipponico. Come un vecchio marinaio che all’ormeggio vede la terraferma invasa ogni giorno da una diversa diavoleria, il regista giapponese non sembra voler rinunciare all’arte pura della fantasia e a nutrirsi di storie che sanno di mito. E mentre i cinema si attrezzano di occhialetti rossoverdi per l’arrivo dell’ultimo prodotto Dreamworks, Mostri vs Alieni, venerdì nelle sale italiane approda Ponyo sulla scogliera, ennesimo capolavoro di Miyazaki. Ponyo è una pesciolina rossa che dopo l’incontro con Sosuke, un bambino di cinque anni, vuole a tutti i costi diventare umana per giocare e rimanere con lui. Una storia semplice e assieme ricca di tutta la complessità simbolica di ogni lavoro di Miyazaki: «È una fiaba avventurosa sull’amore infantile – spiega il regista –. Ponyo porta La Sirenetta di Hans Christian Andersen nel Giappone contemporaneo ». Un film solo per bambini, è stato definito, che ha fatto storcere il naso a chi in Occidente aveva fatto la conoscenza di Miyazaki con le favolose avventure della Principessa Mononoke, de La città incantata e de Il castello errante di Howl, tutte opere venerate da critici e platee di mezzo mondo, contese dai festival più famosi. Ma l’autore che contribuì anche alla fama di Lupin III e di Heidi non si scompone, anzi, apprezza: «È un bene che ci sia qualcuno che dica che Ponyo è infantile. Ho proprio cercato di fare in tutti i modi un film che potesse essere compreso da un bambino di cinque anni. I bambini amano istintivamente il soprannaturale, perché in un certo senso conoscono i segreti del mondo. Mentre sono gli adulti che li hanno dimenticati». A sessantotto anni Miyazaki continua a dedicare la vita all’immaginario dei bambini, ha costruito il Museo Ghibli, un’oasi di divertimento che più che a Disneyland assomiglia a un parco di Gaudì. «Questa per me è una possibilità per stare a contatto con bambini piccolissimi. E mi aiuta a ricordarmi del bimbo Hayao, dentro di me». Il demiurgo dei sogni animati di piccoli e grandi spettatori guarda al sapere antico, quello del cartone classico della migliore tradizione giapponese. Matita, colori, occhi giganti, bocche spalancate e tutto l’artigianato poetico delle fiabe, tra Occidente e Oriente. Il pesciolino Ponyo sfida con la semplicità delle tavole i mostri e gli alieni tridimensionali con le loro arrembanti supertecnologie: «Non ho mai amato troppo la computer grafica e sono contento di aver potuto fare tutto a mano per creare e un mondo più caldo e umano. Un villaggio in riva al mare e una casa in cima alla scogliera. Un esiguo numero di personaggi. L’oceano come presenza vivente. Un mondo dove la magia è parte della quotidianità e dove il mare è l’altro vero protagonista. È difficile rendere queste emozioni con il computer. Serve la matita con cui noi animatori facciamo muovere le immagini». Miyazaki vede i bambini di oggi rispetto a quelli di ieri vivere in un’epoca più difficile, circondati da macchinari e tecnologie che non educano ma dividono, tolgono meraviglia alla scoperta e rendono inutile l’ascolto dei racconti dei nonni: «Quando ero bambino io i vecchi venivano trattati con più rispetto e non come persone inutili. In Ponyo invece racconto del coraggio di un bimbo e di una bimba, dell’amore, della responsabilità e della vita. Con semplicità. Così ho voluto offrire la mia risposta alle afflizioni e alle incertezze dei nostri tempi». A sinistra, Hayao Miyazaki. Sopra una scena del film «Ponyo sulla scogliera»