giovedì 18 novembre 2010
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Forse è un bel cortocircuito politico-artistico. Sicuramente è una notizia: Milano, cioè la città che più di altre era balzata alle cronache come la più intollerante con i rom, è oggi l’unica in Italia ad accoglierne e premiarne undici. Undici non-attori che per una settimana metteranno in scena un’opera rom sulla loro cultura e saranno ospitati in albergo, non in un campo nomadi alla periferia della tangenziale.Magia del teatro, arte zingara per elezione: che addirittura celebra e premia questi nomadi.Oggi a Milano, e ha tanto del miracolo, di «desicana» memoria, allo Spazio No’hma il Premio Internazionale Teresa Pomodoro per il Teatro dell’Inclusione andrà a una compagnia di attori serbi e rom, molti non professionisti, guidati da un regista salentino, Salvatore Tramacere, per uno spettacolo che «scandalosamente» si chiama Brat, cioè Fratello.Questi giovani rom recitano se stessi squarciando il velo sul loro mondo, sulla loro cultura così lontana e così poco conosciuta. Li ospita proprio Milano. Da altre parti non li volevano, perché, raccontano dalla compagnia, nessuno voleva impelagarsi per fargli avere i permessi e un posto dove sistemarli. Certo, a giugno li aveva ospitati il meritorio festival del teatro di Napoli, ma il loro spettacolo (in scena alle 23) si era un po’ perso nel marasma delle tante proposte.Ora saranno sul palco del Teatro Menotti (ex Elfo) di Milano, dal 30 novembre con questa co-produzione dei Cantieri Teatrali Koreja di Lecce e del Centar Za Kulturu di Smederevo, cittadina a 70 chilometri da Belgrado. Confini etnici e geografici che si intrecciano alla ricerca di un senso identitario che contrasti l’ottusità dei pregiudizi e delle campagne discriminatorie di questi giorni:«In uno spazio scenico scarnificato – afferma il regista – tredici non-attori rom, assieme ad altri dieci giovani interpreti, assumono ruoli da commedia dell’arte, facendosi testimoni di una cultura emarginata, la propria. Ladri, ricettatori, donne di malaffare, ufficiali di polizia, pronti a spillare quattrini dove si può, sono gli eroi per caso di un mondo alla rovescia e di una cultura tanto rifiutata quanto ricca di fascino e di magia».Brat nasce come un workshop teatrale: un’esperienza lunga tre anni, avvenuta a Smederevo, in Serbia, partendo da un testo, L’opera del mendicante, melodramma satirico di John Gay, riletta poi come allegorica denuncia anticapitalista ne L’opera dei tre soldi di Bertolt Brecht.«Abbiamo provato a fare teatro. Lavorando di sera, dopo faticose giornate di lavoro quotidiano, specie per i giovani rom, a raccogliere frutta, vetro e carta. Non vogliamo creare una nuova compagnia professionale né cerchiamo alcuna catarsi sociale». Ma solo «conoscenza e condivisione», di un popolo che nelle parole di Alexander Langer, citato nello spettacolo, rivendica «il diritto di continuare a essere sottilmente altro e trascendente rispetto a tutti quelli che si contendono territori, bandiere e palazzi», «capaci di passare sopra e sotto i confini». Una cultura che abbiamo imparato a conoscere nel caos persino un po’ cialtronesco dei film di Kusturica, ma non abbastanza per arginare i conati di intolleranza che parlano più alla pancia che alla testa, e affermare, capovolgendo quello che Brecht dice nella sua Opera, che «prima viene la morale, poi lo stomaco».
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