martedì 21 novembre 2023
Il teologo sull'ultimo volume di Vittorio Sgarbi dedicato a Buonarroti: riconosce nella sua opera la compiutezza dell’esperienza del “pulchrum” attraverso l’incarnazione
Il volto della Vergine nella Pietà Vaticana di Michelangelo

Il volto della Vergine nella Pietà Vaticana di Michelangelo

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Pubblichiamo la prefazione di Rino Fisichella al volume Michelangelo. Rumore e paura (La nave di Teseo, pagine 240, euro 22,00) con cui Vittorio Sgarbi chiude la sua trilogia del Rinascimento, dopo Leonardo e Raffaello. L’autore segue la parabola dell’artista guidando lo sguardo alla ricerca delle fonti e delle consonanze che le opere, opportunamente interrogate, ci suggeriscono: «La Pietà vaticana, il David, la Cappella Sistina, fino all’estrema Pietà Rondanini. Michelangelo – scrive – evoca fantasmi. Nelle sue opere non c’è soltanto la bellezza ma anche il tentativo di cogliere uno stato d’animo e uno spirito che sono dentro la scultura e la pittura. Questa è la sua grandezza, la sintesi formidabile del Rinascimento».


Vittorio Sgarbi dedica un volume a Buonarroti riconoscendo nella sua opera la compiutezza dell’esperienza del “pulchrum” attraverso l’incarnazione Questo libro manifesta in modo chiaro l’incontro tra due genialità: Michelangelo e Vittorio Sgarbi. Il primo crea l’opera; il secondo la fa rivivere. Michelangelo ci viene descritto in tutta la sua originalità che si impone oltrepassando il tempo per giungere fino a noi e procedere oltre. Sgarbi evidenzia come il tempo trascorso sia stato riempito da altri autori che ispirandosi al genio michelangiolesco producono opere d’arte altrettanto decisive per la storia della bellezza. In effetti ciò di cui si tratta è una vera storia della bellezza che parte da Michelangelo per estendersi fino ai nostri giorni. La bellezza non è mai un’idea astratta, ma si incarna nel tempo e nello spazio per offrire la contemplazione da cui scaturiscono serenità, gioia e la consolazione.

Quando i maestri antichi hanno voluto descrivere la bellezza hanno semplicemente detto: id cuius ipsa apprehensio placet, “la bellezza pone in uno stato di serenità”. La percezione che individua il pulchrum porta l’animo a vivere momenti inaspettati e irripetibili. È per questo che abbiamo bisogno di bellezza, perché c’è urgenza di speranza e di serenità. Dove emerge la bellezza, là si vive meglio. Non è un caso che il secolo passato e anche questo inizio del secondo millennio evidenziano un aspetto contraddittorio: da una parte permane il desiderio di bellezza di cui si vive più la nostalgia; dall’altro si è avvolti dal degrado che porta violenza e stili di vita disumani oltre a una infinita povertà. L’autore di queste pagine torna ripetutamente sul Novecento segnato dalla “morte di Dio”. In effetti, il folle che con una lampada in pieno giorno girava per il mercato cercando Dio aveva suscitato l’ilarità dei passanti. Nietzsche, tuttavia, guardava più lontano, e quel folle lo fa ritrovare in una chiesa mentre recita il de profundis Deo. Certo, lo stesso padre del nichilismo doveva ammettere di essere venuto troppo presto, e si sentiva obbligato a confessare che navigava in un mare sempre più aperto senza sapere dove sarebbe approdato, se mai ci fosse riuscito.

Non si sbaglia, comunque, nel considerare questi decenni così complessi come momento di una mancanza della bellezza, dovuta anche all’assenza di Dio e alla perdita del senso del sacro. (...) Sgarbi in queste pagine ci permette di viaggiare tra le opere più significative di Michelangelo per consentire di riscoprire il volto reale della bellezza che ha determinato la storia. La bellezza torna a prendersi la rivincita e si impone come l’esigenza non più procrastinabile di essere protagonista. Da queste pagine emerge in maniera netta che di Michelangelo ne può esistere uno solo, e la sua genialità non può essere copiata né ripetuta. Nell’opera d’arte che supera i secoli si esige quell’unicità che non permette replica alcuna. Michelangelo appartiene a questa storia. Come pochi privilegiati ho avuto la fortuna di avvicinarmi spesso alla Pietà senza essere impedito dalla vetrata protettiva dopo che una mano scellerata nel 1972 colpì ripetutamente il volto della Vergine. L’interpretazione di Vittorio Sgarbi è veritiera e ti consente di contemplare il volto della giovane Maria certamente triste eppure sereno. Il volto della ragazza di Nazareth che guardando quel Figlio ripercorre il mistero della sua personale esistenza. Ciò che emerge da quella Pietà realizzata da un giovane Michelangelo di soli 24 anni è l’intero mistero della fede cristiana. L’incarnazione del Figlio di Dio nel corpo di una ragazza vergine porta a compimento la storia della promessa per imporsi come storia di salvezza. Sgarbi non può fare a meno davanti a quella bellezza unica di chiamare in causa Dante e il canto di san Bernardo al culmine del Paradiso diventa lo strumento ermeneutico per andare oltre la forma e cogliere il senso. Dalla Pietà alla Cappella Sistina il viaggio si riempie di nuove emozioni. Accompagnato dal Vasari, Vittorio Sgarbi entra nel merito del lavoro immane di Michelangelo che, obbligato da papa Giulio II della Rovere, dà avvio al dipinto della Cappella senza chiedere aiuto ad alcuno neppure per la composizione dei colori.

Non so come avrebbe reagito Michelangelo se avesse sentito le critiche di El Greco quando con una certa arroganza affermava che il Maestro non era un bravo pittore. Per sua fortuna Michelangelo era già da alcuni anni a contemplare direttamente quanto aveva dipinto, ma certamente con il carattere che si ritrovava gli avrebbe risposto: «Non dovrebbe ogni pittore far manco di scultura che di pittura; e simile, lo scultore di pittura che di scultura». D’altronde il Vasari nel descrivere i primi anni di Michelangelo non può far a meno di dire: «L’ingenio suo lo tirava al dilettarsi del disegno, tutto il tempo che poteva mettere di nascosto lo consumava nel disegnare». La Cappella Sistina è veramente il Michelangelo che realizza il sogno del Cinquecento: l’uomo al centro. La possanza delle sue forme e la globalità della sua presenza diventano lo strumento per affermare la scoperta dello sviluppo storico in atto. Eppure, quell’uomo al centro non è un uomo senza Dio; al contrario, è veramente uomo, forte e insuperabile perché guarda a Dio e questi gli è vicino. Non è un Dio assente, ma un Dio vicino che rende l’uomo veramente grande. La Creazione ci viene presentata nella sua grandiosità e in quelle due dita che Vittorio Sgarbi genialmente commenta: «Una distanza minima ma netta e incolmabile. Le due dita non si toccheranno mai perché ciò che si comunica è qualcosa di immateriale. Quella distanza è come l’infinito».

Il teologo, comunque, va oltre. Il genio di Michelangelo non avrebbe mai potuto descrivere quella pagina di Genesi dove si dice che “lo Spirito aleggiava sopra le acque”, come una colomba così come tutti hanno fatto nel corso dei secoli. Michelangelo conosceva e cantava il Veni Creator Spiritus. Quel dito che crea la vita poteva essere solo il digitus paternae dexterae! Il dito della destra del Padre è lo Spirito Santo presente nella creazione; è lui che dà la vita e rende la creatura immagine del Creatore. Da ultimo, Sgarbi ci fa fare i conti con la natura. La maestosità della Cappella Sistina stride con Pietro che inchiodato sulla croce sente ormai il peso dell’età e la fragilità del proprio corpo nella Cappella Paolina. Michelangelo ritrae se stesso. In Pietro imprime il suo stesso volto che manifesta il suo carattere e la sua straordinarietà. Si rimane impietriti perché ancora una volta Michelangelo è impietoso: lui un uomo libero fino alla fine della vita, tocca con mano quanto il corpo sia sottoposto alla debolezza progressiva e in quello sguardo si nota nello stesso tempo lo smarrimento per quanto potrà accadere e la tenacia di essere giunto fino alla fine nella sequela del proprio progetto di vita. Vittorio Sgarbi con Michelangelo termina la trilogia che in questi anni ha permesso di recuperare un vero tesoro di arte passando da Leonardo e Raffaello. Leggere queste pagine aumenta lo stupore e provoca quindi nuova conoscenza. Gli siamo grati per avere posto nelle nostre mani uno dei maestri della bellezza con un’interpretazione coerente e profonda capace di suscitare interesse e responsabilità, perché le sue opere continuino a provocare le emozioni necessarie per restituire dignità al nostro contemporaneo.

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