“Non bisogna essere dolci con le violenze fatte alle donne, non bisogna usare le mezze tinte. Quello che gli uomini fanno alle donne è mostruoso, è quotidiano ed è universale. Ci sono più donne uccise dal partner che dalle guerre”. Il grande animatore francese Michel Ocelot, divenuto celebre con il personaggio di Kirikù che lo ha portato alla vittoria a Cannes, questa volta abbandona la metafora poetica per denunciare in modo forte la condizione delle donne violate nei loro diritti in Dilili a Parigi, da lui disegnato e diretto in uscita nelle sale italiane il 24 aprile. La pellicola viene presentata stasera sera in anteprima a Torino nell’ambito di Cartoons on the bay, festival televisivo e crossmediale dedicato all’infanzia promosso da Rai e organizzato da Rai Com che chiuderà domani con la consegna all’animatore del Premio alla carriera. Il lungometraggio animato intreccia due anime (anche visive), una luminosa e colorata ambientata fra artisti, scrittori e scienziati nella Ville Lumière, simbolo della rinascita della cultura europea e del riscatto sociale delle donne, ed una oscura e oscurantista propugnata una misteriosa setta di uomini, i “maschi maestri”, decisi a sottomettere le medesime rapendole sin da bambine.
Fra questi due mondi si muove la deliziosa e coraggiosa Dilili, un’orfana mulatta nata in Nuova Caledonia, imbarcatasi clandestinamente su un piroscafo per la Francia. Una piccola alla ricerca della sua identità nella Parigi del 1900, ma anche determinata a difendere le altre bambine, indagando a rischio della vita sui misteriosi rapimenti che terrorizzano la città. Ad accompagnarla fra gli splendori di Parigi è Orel, un giovane fattorino, che la porterà a conoscere nientemeno che Picasso, Touluse Lautrec, Matisse, Rousseau, Monet, Renoir, Rodin, Satie, Proust, Eiffel, il futuro re d’Inghilterra Enrico VII. E, poi, soprattutto le donne “rivoluzionarie”: Marie Curie, Sarah Bernardt, Colette… . Aggiunge Ocelot: “Durante la Bélle Epoque le donne cominciarono piano piano a conquistare i loro diritti: abbiamo avuto la prima studentessa universitaria, il primo avvocato, la prima dottoressa. Ma le donne oggi rischiano di tornare indietro”. Per questo il passaggio nel buio delle fogne di Parigi, angoscia ancor di più: i nostri eroi scopriranno che i loschi e viscidi figuri, terrorizzati dalla liberazione intellettuale e sociale delle donne, hanno rapito le bambine perché non frequentino le scuole, ridotte in schiavitù, costrette a camminare a quattro zampe, usate come sgabelli, velate di nero dalla testa ai piedi. Immagini forti che ricordano molto quelle delle studentesse rapite da Boko Haram. “La storia è stata scritta sei anni fa, e subito dopo sono state rapite le liceali nigeriane. Mentre giravamo la Francia è stata attaccata a tradimento, e questo ci ha dato voglia di fare un film ancora più forte e necessario. Uno scontro di civiltà? Io sono preoccupato della situazione delle donne e delle ragazze in Francia. Quando vedo delle donne velate, tutte vestite di nero e addirittura con i guanti, io penso che sia sbagliato. Beninteso, non attacco l’Islam né le altre religioni, ma l’interpretazione che se ne dà”. Il messaggio del film di Ocelot è di speranza: “Le donne vengono maltrattate in tutto il mondo e a farlo sono uomini deboli che si rivalgono su di loro. Le persone che invece fioriscono attraverso la cultura e la civilizzazione non hanno bisogno di uccidere”.