Il re del pop è morto, lunga vita al re. Ieri Los Angeles e il mondo intero hanno celebrato la rimozione dell’uomo Michael Jackson e di tutte le sue contraddizioni e l’instaurazione del suo simulacro. Come nella profetica copertina del suo HIStory, dove campeggiava un indistruttibile colosso di pietra avvolto nelle luci del tramonto. In centinaia di migliaia in una Los Angeles blindata come in guerra e un miliardo, si calcola, di fan in tutto il globo connessi grazie a un’impressionante copertura mediatica, uniti nella più spettacolare elaborazione del lutto della storia. E lui, il re, lì con loro. Perché la salma di Jackson, contro ogni annuncio e ogni previsione, è stata portata allo Staples Center per la commemorazione pubblica, seguita alla cerimonia privata tenutasi alle prime ore del mattino (le 17 in Italia) al cimitero di Forest Lawn. Quel corpo, negato a se stesso da interminabili trasformazioni e ai suoi adepti da maschere e grandi occhiali da sole, era lì. Nella bara di bronzo placcata d’oro e coperta da un manto di fiori rossi. Ultimo passo verso l’apoteosi. Gli undicimila baciati dalla fortuna (in 1 milione e 600 mila avevano richiesto il biglietto) hanno tributato nell’arena dei Los Angeles Lakers l’estremo saluto all’eroe di Thriller. Con loro i familiari (presenti i figli), gli amici e molte star. Diverse però le assenze importanti. Debbie Rowe, l’ex moglie e madre dei suoi primi due figli. E due amici intimi come Quincy Jones e Elizabeth Taylor. «Non credo che Michael avrebbe voluto che io condividessi il mio dolore con milioni di persone» ha detto Liz declinando l’invito: «Quello che sento appartiene a noi. Non è un evento pubblico ». La commemorazione è iniziata con qualche minuto di ritardo alle 10.10 (le 19.10 in Italia), con i messaggi inviati da Nelson Mandela («Noi nutrivamo grande ammirazione per il suo talento che per le sue capacità di vincere il dramma in così tante occasioni della sua vita») e Diana Ross, impossibilitati a partecipare di persona. Poi la bara, accompagnata dalle note di un coro gospel, è stata posta ai piedi del palcoscenico, avvolta da enormi mazzi di fiori. Sulla scena morbide luci blu, alle spalle un grande schermo proietta vetrate colorate, come se si fosse in una chiesa, e immagini della star. L’evento procede ovattato e raccolto, senza eccessi. Mariah Carey apre la scaletta in duetto con Trent Lorenz in I’ll be there, una hit del 1970 dei Jackson 5. Dopo di lei un commosso Lionel Richie in Jesus is Love. Sermoni e discorsi si susseguono a momenti musicali con i cantanti Stevie Wonder, Jennifer Hudson, Usher, l’attrice Brooke Shields in lacrime, le star del basket Magic Johnson e Kobe Bryant. Toccante l’esibizione del fratello Jermaine in Smile di Chaplin, la canzone preferita da Michael. Si scivola lentamente verso il finale in cui tutti sul palco, figli compresi, hanno intonato We are the world (scritta da Jacko con Lionel Richie) e Heal the world. E prima dell’uscita della bara, le parole interrotte dalle lacrime di Paris, la figlia di Michael. Ma a luci ancora accese, il tributo al re del pop non ha mancato di suscitare polemiche. Il costo per l’apparato di sicurezza (1400 gli agenti dispiegati) e per altri servizi, come le misure igieniche, è stato stimato in 2 milioni e mezzo di dollari. La casse della città di Los Angeles sono a secco per via della recessione. È qualcuno si chiede chi alla fine pagherà il conto salatissimo.