La Nazionale Crazy for Football, fondata dallo psichiatra Santo Rullo che adotta la calcioterapia per curare patologie mentali
«Chi scommette sa ciò che fa e non va perdonato, perché perdonandolo non si cura il suo problema di ludopatia», dice Silvio. «Per guadagnare due “spicci” oh, sto Corona dovrà pur mangiare, ma siamo arrivati alla frutta, la colpa non è nemmeno dei giocatori, ma è che siamo in una società di venduti e tra un follower in più o meno si diffamano tutti», gli risponde Michele. «Dal mio modesto punto di vista, visto che ho attraversato anche io la fase ludopatica, posso solo dire che la responsabilità è solo dei ragazzi che ci cadono, ma il sistema in cui viviamo non fa che fagocitare il mondo delle scommesse. Prima e dopo le partite, se ci fate caso, ci sono sempre le sponsorizzazioni che riguardano il betting », puntualizza Giovanni Maria che raccoglie il plauso della maggioranza della chat degli azzurri della Nazionale Crazy for Football. La pazza idea balenata nella mente illuminata del loro psichiatra, il dottor Santo Rullo, che nel 2004 decise di creare una squadra formata da pazienti depressi, bipolari, schizofrenici e con altre patologie mentali. Dal campo di periferia della Polisportiva della Bufalotta, nacque così la squadra di calcio a 5 del Gabbiano, poi diventata una vera Nazionale di calcio a 5, la Crazy for Football. Esperimento sanitario e sociale pienamente riuscito di “calcioterapia”. Un modello studiato e copiato in mezzo mondo e che ha ispirato un docufilm (premiato con il David di Donatello) e un lungometraggio Crazy for football. Matti per il calcio, diretti da Volfango De Biasi, in cui il dottor Santo Rullo viene interpretato da Sergio Castellitto e i panni del loro ct, Enrico Zanchini, li indossa Max Tortora. Quindi siamo nel posto giusto e con le persone bene informate sui fattacci che riguardano lo scandalo delle scommesse on line illegali dei loro colleghi azzurri della Nazionale, Fagioli, Tonali, Zaniolo…
Dottor Rullo, ma in questi anni ha mai avuto a che fare con ludopatici provenienti dal “calcio milionario”?
Certo, ho avuto come pazienti calciatori di categorie basse, ma anche professionisti di alto livello. I profili dei ragazzi che sono in terapia da noi in questo momento sono gli stessi ventenni del calcio di Serie A indagati dagli inquirenti e che si sono autodenunciati. La differenza è che quei ventenni professionisti subiscono pressioni e aspettative di tutti i generi, talora strane e a volte patologiche, anche da parte dei loro familiari. Un figlio che si avvia a una carriera calcistica che gli consente di diventare milionario e di stare al centro del villaggio mediatico deve rivedere i suoi parametri originaari e quelli del nucleo familiare in cui è cresciuto, e non sempre riescono a mantenere un equilibrio con se stessi e con il mondo pressante che li circonda.
La dipendenza da gioco, scommesse on-line e abuso di strumenti tecnologici, possono considerarsi un “nuovo doping”? Puetroppo sì. Il doping delle scommesse colpisce gente che è arrivata al top e che ha più da perdere che da guadagnare. Il calciatore che gioca su tutto, dal corner al prossimo ammonito, è un compulsivo che va associato al giocatore da casinò che fa la puntata alla roulette. Cambia solo lo spazio della giocata, qui ora parliamo della piattaforma illegale in cui puoi giocarti qualsiasi cosa...
Quali sono i segnali di questo tipo dipendenza nel calciatore professionista?
Il filo conduttore è il disaggio che spesso si esprime in maniera chiara con la non piena espressione del loro talento. Talvolta le patologie si manifestano nel calciatore a fine carriera, ma è anche diffuso il caso del professionista che avverte quel disagio in corso d’opera, perché magari è costretto a cambiare continuamente squadra per problemi ambientali o semplicemente per un tornaconto suo e del procuratore che ogni fine stagione lo mette sul mercato e lo offre a un club diverso.
Casi specifici di calciatori con questa forma di particolare disagio.
Abbiamo ricevuto richieste di aiuto da calciatori che vivevano attaccati alla play-station anche fino a sette ore al giorno. Ma anche casi eclatanti di chi si era fatto l’avatar personalizzato di Fifa e si “studiavano” a livello motorio giocando in pratica con se stessi dentro lo schermo. Ovviamente erano sfide a soldi e se nella dipendenza da gioco se introduci il denaro inevitabilmente il livello adrenalinico sale. Tutti i giocatori d’azzardo alla fine dipendono da quella adrenalina da sconfitta: perdo - dicono a se stessi ma sono ancora vivo e finché non mi riduco sul lastrico insisto. Perdo e insisto, è la stessa dinamica del drogato che non smette finché non muore d’overdose.
Ma il fenomeno, lei insegna , che non va circoscritto al solo mondo del calcio dorato.
Siamo di fronte a una piaga sociale che si è aperta da tempo. Il disagio giovanile e le patologie legate alle dipendenze sono sensibilmente aumentate. Effetto post Covid? Questo non possiamo dirlo con certezza, ciò che è sicuro invece è che i rapidi cambiamenti tecnologici e l’impatto dei social sulle relazioni e sulla socialità hanno un peso specifico sulle problematiche che trattiamo ogni giorno.
Tra le cause che portano a diventare uno “scommettitore di Serie A” pare rientrino le famiglie assenti, i procuratori e i club distratti...
Il ruolo e la responsabilità del genitore è difficile da definire quando il figlio è un calciatore che guadagna in sei mesi quello che il padre e la madre non metterebbero assieme in due vite. Il procuratore fa parte dell’ «azienda calciatore » che deve fare l’interesse del singolo e teoricamente dovrebbe curare anche il bene fisico e mentale del suo assistito. Il club affida il calciatore al “primo psicologo”, ovvero all’allenatore, il quale si ritrova dinanzi a singole aziende dentro la grande società, e il singolo calciatore si sente garantito e al riparo al suo interno. A differenza del “tecnicopsicologo”, l’unico a saltare in caso di scarsi risultati.
Ma l’allenatore psicologo non denuncia mai a voi medici dei casi di calciatori ludopatici?
Nella mia esperienza l’unico allenatore di grande sensibilità che ho conosciuto è stato il compianto Sinisa Mihajlovic. Ogni volta che aveva un problema con uno dei suoi ragazzi mi chiamava subito, aveva sempre un occhio di riguardo per i problemi psicologici del giovane calciatore e nessun stigma per la figura dello psicologo. Ma ripeto, Mihajlovic era una mosca bianca nel sistema.
E infatti le società quando poi accadono “i fattacci”prendono subito le distanze.
La Federazione deve sbrirgarsi a fare formazione prima che il giocattolo si rompa in maniera definitiva. Per colpa dei troppi soldi che circolano le pedine del giocattolo diventano ancora più fragili. Serve una maggiore cultura e un adeguato sostegno psicologico all’interno degli spogliatoi. Ma lo psicologo poi non deve invadere l’area tecnica dell’allenatore con il quale deve necessariamente integrarsi.
Quale scenario ci attende?
Al di là delle sentenze della giustizia sportiva questi ragazzi incriminati vanno aiutati e devono rendersi conto che hanno fatto qualche cosa che impatterà in maniera clamorosa sulle loro carriere. Scommettere illegalmente nel campo del proprio mestiere, è come arrivare ubriachi sul posto di lavoro o il pilota d’aereo che vola sotto effetto di stupefacenti.
Ma esiste una terapia?
Questi calciatori ludopatici stavano male anche prima, ma nessuno li ha fermati. Il primo passo per farsi curare parte dalla diagnosi di dipendenza e la presa di coscienza delle conseguenze nocive che il gioco comporta non solo a se stessi ma può avere pesanti ricadute nel sociale. Affrontare il problema in maniera seria e professionale non è semplice e neanche tanto consentito, perché nel mondo del calcio se manifesti una fragilità vieni automaticamente scartato. La scorciatoia del mental coach non può sostituirsi alla funzione del terapeuta. Il mental coach è quello che al suo pupillo ricorda sempre che il calciatore di Serie A è un “modello”, mentre non lo è affatto. Lo sport come benessere diventa malessere perché chiede ai suoi giovani protagonisti di superare costantemente i propri limiti fisici. Questo è il ritratto del professionismo, in antitesi con il nostro percorso della Nazionale Crazy for Footbal in cui partiamo dall’utilizzo dello sport per sanare il malessere e provare a dare beneficio ai nostri pazienti stando insieme e giocando in una squadra che è composta da persone e non da singole aziende.