domenica 13 ottobre 2019
Eliud Kipchoge è il primo atleta a infrangere la barriera sui 42,195 km correndo in 1h 59’ 40”. «Penso di aver anche ispirato tanti a capire che non ci sono limiti», ha detto il campione
L’esultanza di Eliud Kipchoge per lo storico 1h 59’ 40” stabilito ieri a Vienna (foto di Alex Halada/Afp)

L’esultanza di Eliud Kipchoge per lo storico 1h 59’ 40” stabilito ieri a Vienna (foto di Alex Halada/Afp)

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Per esibirsi sotto gli occhi del mondo ha scelto le vie di Vienna, ma anziché ballare il valzer ha corso la maratona più veloce di sempre. Alle dieci e un quarto di un sabato già invernale la ruota panoramica del Prater si è fermata per rendere onore al primo uomo capace di percorrere 42 chilometri e 195 metri in meno di due ore. Il 34enne keniano Eliud Kipchoge stavolta ha centrato l’obiettivo, frantumando un muro storico dell’atletica e spostando più in là la linea della frontiera. Due anni e mezzo fa all’autodromo di Monza aveva fallito l’impresa per 26 secondi, ieri c’è riuscito per 19: 1 ora 59 minuti 40 secondi e 2 decimi, questo il responso dell’asfalto viennese. Il crono non finirà nel libro dei record, giacché si è corso stravolgendo le normali regole, ma farà comunque rumore, «perché ho dimostrato che nessun essere umano è limitato», ha urlato ai quattro venti l’uomo della tribù Nandi, cresciuto a pane e corsa. Il 6 maggio 2017 fu una convention di Nike, il 12 ottobre 2019 è stata una festa targata Ineos, colosso inglese della chimica, il cui logo compare da qualche mese pure nel ciclismo professionistico. Non a caso a bordo strada c’era il quattro volte vincitore del Tour de France, Christopher Froome, mentre il patron Jim Ratcliffe sprizzava di gioia, prima di consegnare all’atleta degli altipiani una placchetta di cristallo e un assegno a sei zeri. «Non posso dire quanto è stato duro, ma adesso mi sento davvero stanco, eppure sono felice. Ho riscritto la storia dello sport, ma penso di aver anche ispirato tantissime persone che mi hanno visto in tv o sullo smartphone a capire che non ci sono limiti», ha spiegato Kipchoge dopo aver abbracciato la moglie Grace e i tre figli, per la prima volta spettatori dal vivo dell’ennesima impresa del detentore del primato del mondo (2h01’39” stampato l’anno passato a Berlino), olimpionico a Rio 2016 e vincitore delle maratone più prestigiose del circuito. L’indiscusso numero uno del momento, il volto giusto per tentare l’impresa, l’atleta perfetto per riscrivere la storia. L’esperimento è riuscito, perché tutto è stato curato nei minimi dettagli. A cominciare dalla scelta del percorso (9,6 chilometri totalmente piatti da ripetere quattro volte, con solo due curve e alberi alti a proteggere dal vento) e dell’ora (il via alle 8.15 con 9 gradi sul termometro), passando per l’abbigliamento (scarpe superperformanti e manicotti lungo le braccia) e lo schieramento delle lepri. A scortare Kipchoge – unica macchia bianca in un plotone di nero vestito – sono stati 35 colleghi, tra i quali il campione olimpico dei 1.500, lo statunitense Matt Centrowitz, i fratelli norvegesi Ingebrigtsen e l’immarcescibile Bernard Lagat. Si sono alternati in gruppi di sette, cinque in avanguardia e due in retroguardia, così da tagliare l’aria al protagonista e ripararlo da Eolo.

Davanti al gruppo il cronometro in bella vista sulla macchina elettrica che sparava un raggio laser verde sull’asfalto per indicare il percorso ideale, a sua volta tracciato di giallo sul manto stradale. Al seguito degli atleti, pedalavano in bicicletta manager e allenatore che scandivano i tempi e passavano la borraccia per il rifornimento. Al di là delle transenne un pubblico che si è via via scaldato, mentre sparsi in ogni angolo del pianeta milioni di follower hanno seguito e commentato la sfida su YouTube. «Abbiamo messo la tecnologia al servizio dell’umanità», ha spiegato Ratcliffe, mentre secondo il coach Patrick Sang «abbiamo mandato un grande messaggio ai giovani, a muoversi, a non restare fermi e a credere nei propri sogni». Il piano della vigilia, ossia mantenere un ritmo da 2’50” al chilometro, è stato rispettato sin dai primi passi, così la luce sul display è stata sempre verde. Dopo il quarantesimo sul volto di Kipchoge si è abbozzato un sorriso, ingigantitosi pian piano con lo striscione d’arrivo a vista d’occhio. A cinquecento metri dal traguardo i paggetti hanno sgombrato il campo, lasciando l’intera scena al protagonista, che ha salutato mandando baci, alzato le braccia al cielo e sprintato in solitaria, aprendo la falcata e bloccando le lancette a 1h59’40”.

«Siamo andati sulla luna e siamo tornati indietro», ha scherzato Eliud, il cui desiderio è «essere un esempio positivo e spingere tutti a decidere della propria vita, così da contribuire a un mondo migliore». Poi tanti ringraziamenti allo staff («A tutti quelli che hanno colla- borato al progetto e soprattutto alle lepri, tra i migliori mezzofondisti al mondo, che hanno accettato il ruolo e svolto un lavoro eccezionale») e uno sguardo al futuro: «Mi aspetto che altri riusciranno a scendere sotto le due ore in maratona. Io ho mostrato il lato bello dello sport. Si può correre forte in maniera pulita»). Infine un passo indietro: «Ci sono voluti 65 anni, dopo Roger Bannister e il suo primo meno quattro minuti sul miglio, per scrivere una nuova pagina di storia sportiva ». Corsi e ricorsi storici. Nel 1968 Jim Hines, Ronnie Ray Smith e Charles Greene furono i primi a correre i 100 metri sotto i 10 secondi, bloccando il cronometro manuale a 9”9 ai campionati statunitensi a Sacramento. Qualche mese dopo ai Giochi olimpici di Città del Messico in rapida successione Hines siglò in 9”95 il primo meno dieci della storia col cronometraggio automatico, mentre Tommie Smith stampò il primo meno 20” sui 200 (19”83) e Lee Evans il primo meno 44” sul giro di pista con 43”86. In una settimana accadde un Sessantotto. Altri tempi, altra atletica. All’epoca per ufficializzare i record occorreva l’annuncio dello speaker, oggi tutto è istantaneo. Così mentre Kipchoge taglia il traguardo, tutto il globo twitta sulla sua impresa.

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