Proprio come “Pollicino”, ha seminato tanto Vincenzo Maenza. Briciole d’oro e d’argento lasciate sulla materassina della lotta greco-romana (48 kg) dove è stato un piccolo grande re. Mise la corona olimpica a Los Angeles nell’84, a Seul ’88 e se la tolse solo a Barcellona ’92: si congedò dai Giochi, salendo sul secondo gradino del podio. A 34 anni l’addio alle gare e da lì in poi per “Pollicino” Maenza sono passati tredici lunghi inverni alla ricerca affannosa di quelle briciole di gloria. Non le ha trovate più, coperte dalla neve dell’indifferenza che troppo spesso scende inesorabile sui piccoli eroi dimenticati degli “sport poveri”. «A 47 anni mi ritrovo senza un mestiere, perché più della metà della mia vita mi sono dedicato al 100% esclusivamente alla mia disciplina. Quando ti alleni 8 ore tutti i santi giorni, con una diaria di appena 40-50 mila lire, a fine carriera con una moglie e due figli da mantenere o fai miracoli per mandare avanti la baracca o ti ritrovi nella miseria...». Dopo una vita di lotte si aspettava qualcosa di più dai governanti del Coni, per sé e per tutti quei campioni che hanno sacrificato i migliori anni della loro vita al servizio dello sport italiano. «Nel Palazzo, al Coni, se ti presenti ti accolgono con grandi sorrisi e pacche sulle spalle. “Guarda chi si vede il mitico “Pollicino”, il campione”, ti dicono. Poi quando capiscono che sei lì per far valere i tuoi diritti ti salutano in fretta e ti fanno rassicuranti: “Ti faremo sapere presto, stai tranquillo siamo con te, non ti abbandoniamo...”. Scene viste e riviste, ma nessuno ha mai mosso un dito per venire incontro a quelle che non sono solo le mie richieste, ma quelle di un’intera categoria di atleti che con grandi sacrifici hanno praticato e ottenuto risultati importanti, ritrovandosi alla fine senza neppure un euro di pensione. Tutto questo è diventato inaccettabile». È il grido accorato di un piccolo grande uomo che ha continuato a dare tanto alla lotta greco-romana e un po’ dell’oro di Andrea Minguzzi, conquistato a Pechino 2008, è anche suo. «Dagli 11 ai 18 anni Minguzzi si è allenato con me e l’ho portato alla vittoria dei campionati italiani juniores e senior. L’ho messo nella giusta direzione, poi come sempre i meriti se li prendono gli altri...». Ma Minguzzi ha sempre riconosciuto a Maenza il rango di suo “maestro”. «Andrea è un gran bravo ragazzo e per sua fortuna ha le spalle coperte perché può allenarsi serenamente nella squadra delle Fiamme Oro, con uno stipendio sicuro a fine mese da poliziotto... A me non diedero quella possibilità. Avrei tanto voluto entrare in Polizia, ma venni scartato alle visite per 4 centimetri: all’epoca era obbligatoria la statura minima di 1 metro e 65 per essere arruolati. A quel punto ho sperato che mi si aprissero le porte della Banca Popolare di Faenza. Per tre Olimpiadi insieme al tricolore ho sbandierato ovunque anche il marchio dell’istituto bancario della mia città perché i dirigenti di allora mi fecero una promessa: “A fine carriera basta che ci mandi una bella letterina e il posto sarà tuo...”. Io quella lettera l’ho spedita 13 anni fa, non ho mai ricevuto risposta. E non l’aspetto neanche più. Sono cose che fanno male, sentirsi presi in giro dopo aver sempre avuto sia nella vita che nello sport il massimo rispetto per il prossimo». Non chiede la luna Maenza, ma quel minimo di pensione che viene garantito a tutti quegli atleti degli “sport ricchi”, a cominciare dal calcio. «Giochiamo a calcio anche noi della Nico (Nazionale italiana calcio olimpionici), l’associazione che ho fondato nel 2002. Abbiamo cominciato a farlo con tanti ex campioni (Mennea, Masala, Guarducci) per raccogliere fondi che servono a costruire pozzi d’acqua alle popolazioni del terzo mondo e quelli necessari per la ricerca sull’Epn (Emoglobinuria parossistica notturna), una malattia rara che ha colpito il nostro amico pugile Maurizio Stecca (oro a Los Angeles e campione del mondo nel 1989 dei pesi piuma). Quella di Maurizio e di suo fratello Loris Stecca - lo scorso anno è arrivato a minacciare il suicidio - è una delle tante storie drammatiche di grandi sportivi del passato che sono stati abbandonati. Non chiediamo l’elemosina, non vogliamo essere “umiliati” con la Bacchelli, pretendiamo solo rispetto, perché trovo oltraggioso che calciatori che hanno guadagnato miliardi, appena smettono si ritrovano subito su un piatto d’argento una pensione da 1.800 euro. Ma un Del Piero o un Totti cosa se ne fanno di quei soldi? Per ex atleti come noi invece sarebbero molto utili. È il minimo che il governo dello sport possa dare in favore di chi ha vinto tutto e pagato fino all’ultimo centesimo di tasse per le medaglie conquistate... E sarebbe giusto che le pagassero anche i nostri olimpionici di Pechino, perché è ora di finirla in questo Paese con la solita politica dei due pesi e delle due misure». Una delle tante tradizioni negative, e tutta italica. «All’estero c’è molto più rispetto per chi ha onorato la sua nazione attraverso lo sport. Basta che un atleta abbia ottenuto dei risultati che la sua Federazione automaticamente gli riconosce un vitalizio. Il mio avversario alla finale di Los Angeles, il tedesco Markus Scherer, ha vinto molto meno di me, eppure l’ho incontrato e mi ha detto che il ministero dello sport della Germania lo ha sistemato adeguatamente. Io non spero di arricchirmi con un eventuale sussidio previdenziale, chiedo soltanto per me e tutti gli altri ex campioni di poter continuare a vivere e di poter fare una vecchiaia dignitosa». Una boccata d’ossigeno intanto per Maenza potrebbe arrivare da una chiamata della Federazione per la nomina a ct azzurro in vista delle prossime Olimpiadi inglesi. «Da due mesi non lavoro. Dopo Pechino mi è scaduto l’incarico di osservatore. Non ho una palestra mia, non me la sono mai potuta permettere, così vado ad insegnare la lotta dove mi chiamano... So che la nomina a selezionatore della Nazionale per Londra 2012 è imminente. Per me sarebbe il coronamento di un sogno: lavorare in un ruolo che penso di meritare per tutto quello che ho dato all’Italia. Se mi chiamassero, forse sarebbe il segno che qualcosa sta finalmente cambiando...». Vincenzo Maenza (a destra), in azione ai Giochi di Los Angeles nel 1984 dove conquistò il primo oro nella lotta greco-romana