giovedì 22 agosto 2024
La rappresentazione di Erminia in fuga diventa per Ludovico Carracci, Domenichino, Guercino, Lanfranco, Cavallino e Salvator Rosa la dimostrazione di come la pittura sia anche filosofia
Il soggetto tassesco di Erminia qui in un dipinto del Guercino

Il soggetto tassesco di Erminia qui in un dipinto del Guercino

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L’orizzonte è quasi sempre concepito come una lontananza irraggiungibile e desiderata, ma può anche essere il luogo da cui ci si è volontariamente allontanati, il luogo in cui ci si trova diventa allora un rifugio. Nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso (1582), la principessa musulmana Erminia fugge da Gerusalemme dove imperversa la guerra, ma fugge anche dalla passione amorosa per il principe cristiano Tancredi: un amore doppiamente straziante, perché non corrisposto e perché amore tra nemici.

Risvegliatasi sulle rive del Giordano, dopo aver attraversato una foresta notturna che l’ha terrorizzata, Erminia incontra un pastore che le offre ospitalità nella sua semplice capanna. Grandi pittori seicenteschi hanno illustrato questo celebre episodio, poiché suscita domande che non hanno perso nulla della loro attualità: è possibile sottrarsi alla condizione che situa l’umanità nel tempo della storia? Ed è possibile disfarsi della violenza della guerra e degli strazi dell’amore? Nei termini spaziali che sono propri alla pittura, questa questione si traduce in una serie di rappresentazioni antagoniste dell’orizzonte e della sua posizione: in alcuni quadri un’Erminia guerriera ed armata domina con la sua statura la linea di un orizzonte lontano; in altri dipinti l’orizzonte è invece inghiottito e nascosto dal bosco e l’eroina è avvolta da una foresta oscura. Questo diverso modo di rappresentare l’orizzonte è anche un modo di rappresentare due posizioni del soggetto di fronte alle passioni: un soggetto che afferma il pieno controllo di sé e della propria affettività si oppone a un soggetto per il quale è impossibile sottrarsi alla natura e al movimento inquieto degli affetti. Come nel poema del Tasso anche in pittura il desiderio della principessa Erminia di convertirsi in umile pastorella si scontra con la sua condizione di appartenenza alla storia, intesa sia come tempo storico – la conquista cristiana di Gerusalemme –, sia come intrigo narrativo e affettivo nel quale è presa.

Ludovico Carracci, Domenichino, Guercino, Lanfranco, Cavallino e Salvator Rosa sono solo alcuni tra i pittori protagonisti di una “polemica” che mostra come la pittura possa farsi carico di un importante dibattito filosofico, esplorandolo attraverso le operazioni proprie dell’arte. Il modello spaziale di grande innovazione cui tutti gli altri pittori risponderanno, è stato elaborato da Ludovico Carracci, al quale il Monsignor Agucchi aveva chiesto di dipingere la storia di Erminia tra i pastori proprio per illustrare la propria situazione di prigioniero della vita di corte desideroso di rifugiarsi, come la principessa, in un luogo protetto dalle le passioni e dai colpi della fortuna. Carracci profitta di questa commissione per condensare in un quadro straordinario tutti gli elementi che ricorreranno nell’abbondante iconografia di questo episodio, primo tra tutti quello di una polarizzazione dello spazio: al luogo di pace sulle rive del fiume disposto in primo piano (locus amoenus) si oppone l’orizzonte lontano dal quale la principessa proviene. Mentre nelle prime illustrazioni a stampa della Gerusalemme Liberata si vedeva in lontananza la città assediata con eserciti e incendi, Ludovico Carracci inventa una soluzione più sottile per descrivere il locus terribilis della guerra e dell’amore: Erminia ne porta i segni sul proprio corpo armato, che sorprende e spaventa il pastore e i suoi figli. Insieme a quelli della guerra, la principessa introduce nel luogo della pace pastorale i segni dell’amore: i capelli sciolti, l’evidenza dei seni, la flessuosa apparenza del corpo la presentano come une Venere innamorata la cui conversione in tranquilla pastorella non sembra cosa facile. Un’alta foresta dai rami intricati avvolge le figure di Erminia e del pastore e le immerge in una condizione opposta a quella del dominio sulla natura e della sua leggibilità spaziale razionalizzata dalla prospettiva. Ludovico ha prestato al pastore i tratti tipici del filosofo antico, come la folta barba canuta, e un gesto che invita Erminia a moderare le sue passioni; la sua conversione alla semplice vita pastorale sarà dunque operata dalla filosofia, ma il lavoro del pastore filosofo si scontra con la condizione passionale dell’eroina e con la sua appartenenza al conflitto dal quale è fuggita.

Ludovico Carracci sembra più interessato a far apparire la difficoltà dell’impresa di fuga dal mondo che a mostrarne l’esito positivo. Modificando l’apparenza di Erminia da Venere innamorata a Minerva padrona di sé, Domenichino sembra invece suggerire che la conversione di Erminia è già quasi realizzata, tant’è vero che l’eroina domina la linea dell’orizzonte e che lo sguardo dello spettatore misura un paesaggio ben ordinato secondo le regole della prospettiva. Nei dipinti della nutrita serie che dà vita a questa polemica filosofica nel corso del XVII secolo accadrà poi che il pastore perda i tratti del filosofo e che Ermina, invece di mostrare l’acquisito dominio di sé, si agiti come una baccante immersa nella foresta. Si tratta, in fondo, della contrapposizione tra classicismo e naturalismo alla quale ci abituato la storia degli stili, ma in questo caso alla differenza delle forme corrisponde una differenza di significati e di posizioni filosofiche.

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