Dopo tutto il sangue, i corpi smembrati, le carni lacerate, il dolore e la sofferenza dei film visti negli ultimi giorni, capaci di mettere a dura prova anche la pazienza dei cinefili più smaliziati,
Looking for Eric di Ken Loach (in autunno nelle sale italiane distribuito da Bim) che porta sullo schermo l’ex campione del Manchester United, il francese Eric Cantona, arriva in concorso a Cannes come una fresca e salutare boccata di ossigeno, una flebo di ottimismo più necessaria che mai. Nonostante continuino a piovere pietre, la working class dipinta dal regista ora balla il rock e Loach svolta verso la commedia con un film alla Woody Allen che scatena risate e applausi a scena aperta riconciliando con la bellezza della vita la platea di un festival, quest’anno più cupo che mai. Come nel film di von Trier, anche qui il protagonista è un personaggio in crisi, ma la terapia per venirne fuori è decisamente diversa da quella proposta dal regista danese. Eric Bishop fa il postino, ma i suoi attacchi di panico gli impediscono di avere una relazione stabile. Il suo primo matrimonio è andato in frantumi, lo stesso è capitato al secondo, e ora l’uomo deve fare i conti con due turbolenti figliastri, una nipotina del quale si prende cura per aiutare la figlia a studiare e il desiderio di riavvicinarsi alla prima moglie che non ha ancora dimenticato dopo 30 anni. Quando tutto sembra scivolargli di mano, ecco che in suo aiuto arriva un amico immaginario, una sorta di guida. «Non sono un uomo, sono Eric Cantona» gli dice non senza ironia il suo idolo, magicamente materializzatosi nella sua camera. Con l’aiuto del calciatore il postino comincerà a risollevarsi buttandosi dietro le spalle le proprie miserie. Interpretato da un coro di straordinari attori capeggiati da Steve Evets, il film strappa l’applauso del pubblico quando Eric il postino dice no alle prepotenze dei malavitosi che hanno messo nei guai il figliastro dando il via all’Operazione Cantona: armati di mazze da baseball e vernice rossa e nascosti dietro una maschera che raffigura il volto del calciatore, uno scatenato gruppo di amici e colleghi distrugge casa e macchina dei malcapitati boss. L’idea del film è partita proprio da Cantona, che al regista aveva proposto un film sul suo rapporto con un tifoso. Un progetto irrealizzabile che però ha suggerito allo sceneggiatore Paul Laverty un’altra storia che riflettesse comunque con il ruolo che il calcio ha nella vita delle persone e con il concetto di celebrità. «Ho pensato che fosse finalmente arrivato il momento di realizzare un film che facesse sorridere – dice Loach – anche se la commedia non è altro che una tragedia a lieto fine. Con questa storia abbiamo cercato la verità della vita che a volte è triste, ma spesso anche lieta e divertente » . E per parlare della complessità dell’esistenza, il calcio funziona come un’ottima metafora. «Il calcio è l’espressione di una comunità – aggiunge il regista – e ha la funzione di far incontrare la gente nello stesso luogo, cosa che anche il cinema dovrebbe fare». Da parte sua, Eric Cantona, ex calciatore e ora attore e produttore esecutivo del film, non nasconde quanto sia stato «speciale» interpretare se stesso: «È stata un’esperienza molto positiva. Ken Loach è simile per certi aspetti ad Alex Ferguson: entrambi con molta umiltà riescono ad ottenere il 100% dalle persone con cui lavorano».