Epa/Jeon Heon-kyunl
Per dire due parole sulla famosa IA, o Intelligenza artificiale, scelgo il punto di vista opposto rispetto a quello politico e geopolitico adottato coerentemente dalla rivista “Limes”, che dopo il titolo di copertina “L’intelligenza non è artificiale” aggiunge questo preoccupante avvertimento agonistico: « La Cina sfida il primato tecnologico Usa, ma l’algoritmo non decide per le potenze. L’Italia cerca posto nella filiera dei chip». Come dire: venti di guerra a tutti i livelli, economico (conquista dei mercati e colonizzazioni commerciali), militare (confronto Cina-Stati Uniti in Asia orientale e nel Pacifico) e infine competizione tecnoinformatica. Quando si sente parlare di “sfida” fra “potenze”, lo scenario è inevitabilmente tanto locale quanto globale e non può lasciare tranquillo nessuno. Quanto all’Intelligenza artificiale, credo che sia non meno interessante e preoccupante vedere il fenomeno da un punto di vista più intrinseco. Le nuove macchine e la crescente robotizzazione ci stanno circondando e assediando con già molta pubblicità al loro servizio. C’è ben poco di umano e di umanistico, mi pare, nella faccenda e nel nostro futuro. L’Intelligenza artificiale occuperà spazi sempre maggiori che oggi sono ancora occupati dalle nostre personali attività cerebrali e dalle nostre già bistrattate facoltà mentali. Più si delegano a un dispositivo meccanico le attività della mente e più la mente impigrisce fino a tendere all’atrofia. Ricordate la parola “alienazione” nel doppio significato sociale e psichiatrico? Alienazione è il processo per cui ciò che dovrebbe appartenere all’essere umano come soggetto cosciente e pensante, viene trasferito dall’organizzazione sociale ad apparati esterni, oggettivi, che espropriano l’individuo delle sue potenzialità e capacità. Il soggetto che ognuno di noi è si vede costretto a servirsi, nel lavoro e nel tempo libero, di dispositivi di cui riconoscere e accettare la superiore efficienza cognitiva e pratica. Anche una carrucola, anche un mulino, erano macchine. Ma le macchine attuali si introducono non solo nelle nostre attività quotidiane, entrano nei nostri cervelli e li spossessano. È stato osservato che le macchine non proveranno mai le emozioni necessarie a scrivere una poesia e a comporre una sinfonia, né avranno la consapevolezza di aver fatto ciò che hanno fatto (Jeremy Bernstein, Uomini e macchine intelligenti, Adelphi 1990). Ma il cervello umano interagisce sempre con un corpo organico e una vitalità psichica: è su questo insieme inscindibile che agiscono le abitudini indotte dall’uso quotidiano di congegni “intelligenti”. L’automazione non diminuisce, aumenta l’alienazione. Nonostante la fatica sprecata, un individuo che guida un’automobile è più libero di un individuo che ne è guidato.