Il chitarrista Dodi Battaglia debutta da solista con l’album “Inno alla musica”: martedì 1° giugno compirà 70 anni
«La musica l’ho scelta fin da bambino, ricordo ogni chitarra che ho suonato e ogni nota che è nata da quegli strumenti. Non riesco proprio, a non abbandonarmi al desiderio di far musica, alla voglia di comunicarla, all’impulso di condividerla». Dodi Battaglia presenta così il suo primo album solista fatto di soli inediti, che segue una serie di bei progetti dedicati alla sua leggenda coi Pooh a cinque anni dallo scioglimento della band. Il disco - edito su Cd in due versioni e su doppio Lp - s’intitola Inno alla musica, e contiene undici canzoni scritte dal solo Battaglia, o con testi da lui vergati a quattro mani con giovani autori (ma ci sono pure due pezzi scritti con Roberto Casini, antico sodale dell’amico Vasco Rossi) più tre brani strumentali - quattro nel Cd pensato per le catene Feltrinelli/Ibs - fra i quali Sincerity col sassofonista jazz Marcello Balena, uscito l’anno scorso per raccogliere fondi per gli infermieri italiani, e One sky col grande Al Di Meola, un pezzo che ha già fatto il giro del mondo.
Battaglia con Inno alla musica si conferma virtuoso immenso, di sensibilità e musicalità uniche, capace di giochi immaginifici con la sei-corde; l’autore Dodi non ha invece forse un mondo ancora compiuto, del resto per solito la poesia gli veniva dagli amici Negrini e D’Orazio: però il suo è comunque un bel debutto. Con picchi notevoli tra Il coraggio di vincere (fiera e autobiografica) e Inno alla musica (poetico canto del potere delle sette note e del valore della cultura italiana, con passaggi toccanti e molte citazioni da Morricone ai Pooh stessi), ma anche tanta energia rock, una voce ancora bella e curata, un sound moderno e spesso teso ma sempre misurato, gran voglia di spiazzare fra cantautorato, pop, eco da PFM a Chick Corea, diversi passaggi intriganti. Canta anche la rinascita auspicata da tutti dopo il Covid, Battaglia, nella vibrante Festa: e non c’è dubbio che, come dice, «sarà magia, sarà opportunità dell’anima di tornare a vivere in modo nuovo». In fondo, è da quel ’68 in cui un 17enne Dodi entrò nei Pooh, che la sua chitarra dà emozioni e cura le ferite dei tanti che l’ascoltano.
Quanto le è costato il lockdown di incontri e show?
Tanto. Stavo sempre in studio a provare sonorità e amplificatori: un musicista è sempre irrequieto, vorrebbe suonare di continuo. Però ho scritto, in una sorta di full immersion creativa. Prima sono nate linee melodiche che il mio discografico mi ha suggerito di sviluppare e proporre a Di Meola, che avevo conosciuto a un compleanno di Zucchero e Gino Paoli anni fa; e da una videocall Bologna- New Jersey ho ricavato l’entusiasmo di Al, che ha portato quel provino a divenire One sky. Poi ho scritto fino ad arrivare al disco intero: per me un andare avanti, un album energico di canzoni credo diverse dal solito.
Con One sky il suo nome ha girato il mondo…
Diciamo che quel pezzo con Al ha avuto da solo gli stessi download dei miei quattro dischi live post-Pooh tutti insieme, dischi che peraltro erano andati benissimo… Ma è un orgoglio vedere come la mia musica sia dilagata in Germania, Regno Unito, Stati Uniti: da sempre soffro un po’, l’invasione di prodotti esteri di cui potremmo fare a meno, senza che mai ci sia attenzione oltreconfine per quanto si fa qui.
Alla musica italiana lei dedica un inno. Perché?
Guardi, sono convinto ci sia più vita nelle canzoni che nei trattati filosofici. Perché la forza di un artista è saper raccontare la vita vera, quella di tutti. La nostra musica è patrimonio collettivo.
In Festa canta il futuro post-Covid: cosa spera?
La normalità cui torneremo non sarà la stessa di prima, questo è indubbio. Rimarranno i segni di questo buio. Ma credo che ricominciare vada pensato e vissuto come una rinascita, come la festa d’un mondo nuovo, in cui lasciarci stordire e dare alla nostra persona nuove opportunità di vivere davvero.
Il suo amico Stefano D’Orazio purtroppo non le avrà: e lei in Una storia al presente gli canta che le piace sentirlo ridere, nella sua voce. Quanto manca?
Quello di Stefano è un lutto che porterò dentro per sempre. Era un fratello, e non è una parola buttata lì a caso. Non voglio più però parlarne troppo perché in tante televisioni ho visto smania di protagonismo, quasi sciacallaggio. Mi ha commosso invece il canto dei fan al suo funerale, e la canzone racconta anche questo: che la musica sa tener viva qualunque cosa.
Il disco si chiude con Fire, testo suo in inglese cantato da Alexandra Greene: con un messaggio forte…
Sì: tornare bambini. I bambini vivono i sentimenti con slanci assoluti, conservano il dono della semplicità, non conoscono le sfumature cui l’adulto costringe il proprio cuore. E credo che dovremmo tutti concederci di guardare indietro, specie oggi: magari ci accorgeremmo che il bambino che noi eravamo, in realtà, non è mai andato via.
Un’ultima curiosità: ma perché in copertina brucia la chitarra? Non è un messaggio potenzialmente negativo?
Non vuole esserlo. Le fiamme rappresentano sia la passione per l’arte, sia il grande sacrificio con cui ci si immola a lei. Giacché far musica è un dono con cui mi auguro di continuare a regalare gioia, ma a volte ruba tempo ed energie per famiglia e affetti.