giovedì 10 gennaio 2019
La scrittrice e astrofisica fa emergere i messaggi forti e profondamente attuali di un genere considerato a torto di serie B
La scrittrice Licia Troisi

La scrittrice Licia Troisi

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È l’autrice fantasy italiana più nota e apprezzata al mondo, con oltre 3 milioni di copie vendute. Ma Licia Troisi, romana, classe 1980, è anche un’astrofisica, attività che ha portato avanti per una decina d’anni tra dottorato e contratti di ricerca. «Fino a quando mia figlia Irene era molto piccola riuscivo a barcamenarmi tra due professioni, entrambe totalizzanti. Poi ho dovuto fare una scelta. Ma l’astronomia fa ancora parte di me e cerco di mantenere un contatto tramite la divulgazione». La scrittrice ha da poco terminato la sua prima esperienza come conduttrice televisiva per Terza pagina, su Rai 5. Un programma di approfondimento culturale che dovrebbe vederla nuovamente alla guida nella prossima stagione.

Licia, come ha iniziato a scrivere e perché ha scelto di occuparsi di fantasy?

Scrivo da sempre, lo faccio in continuazione, ormai lo considero un tratto caratteriale: sono fatta così. Anche adesso sto lavorando a una nuova saga che dovrebbe uscire in primavera. Il fantasy non è stata una scelta. Ho iniziato a scrivere le prime storielle quando avevo 7 anni e nei racconti per bambini l’elemento fantastico è sempre molto forte. Questa cosa è rimasta dentro di me. Anche al liceo, quando era un pochino più snob e il genere lo guardavo male, conservavo degli elementi fantastici. Per molto tempo ho cercato una storia su cui costruire un libro. Poi è arrivata Nihal (la protagonista del suo primo libro, ndr) e mi sono resa conto che quella era la mia dimensione.

In molti lo considerano un genere da ragazzini.

In Italia c’è questa idea per cui se una cosa è divertente è anche un po’ vile. Fuori c’è un’attenzione diversa. Già dalla prima volta che sono andata in Francia, il mio editore mi fece intervistare da Le Figaro e il comportamento dei giornalisti non era certo quello di vaga superiorità che mi è capitato di riscontrare da noi, soprattutto quando ero più giovane. All’estero lo scrittore di genere è uno scrittore come tutti gli altri. In Italia l’elemento di fantasia viene associato subito all’infanzia. L’unico scrittore fantasy che viene considerato da tutti è Martin (l’autore di Game of thrones, ndr). La povera Le Guin, dalla quale non è stata tratta alcuna serie tv, non è stata ancora sdoganata come scrittrice per adulti qual è.

Attraverso i suoi romanzi sembra volere veicolare molti messaggi.

Ho scritto Le Cronache del mondo emerso nel periodo dell’11 settembre. Bush parlava della “guerra del bene contro il male”. Tematiche da libro fantasy buttate nel mondo reale. Sentivo il bisogno di sovvertire quel processo, di trasportare quelle infinite sfumature di grigio in un fantasy. La guerra veniva vista come un male necessario, che non creava poi tanto danno. Volevo recuperare l’aspetto brutto della guerra, perché quando ce lo dimentichiamo siamo pronti per iniziare di nuovo. Anche il razzismo ha attraversato tutto ciò che ho scritto. E questa cosa orribile di considerare le persone come oggetti e di usarli per ottenere degli scopi. Molto spesso ci sono degli schiavi nei miei libri, semplicemente perché li vedo intorno a me.

In che mondo stiamo vivendo secondo lei?

Ha presente le cinque fasi del lutto? Secondo me siamo in piena fase di negazione. Il mondo cambia velocemente ed è normale avere paura. L’importante è non farsene dominare. Invece ci stiamo abbandonando a gente che sfrutta queste paure e ci racconta un mondo che non esiste. Soprattutto sui social, ognuno si prende dalla realtà quelle due, tre cose che rispondono ai propri bisogni più profondi, ci costruisce attorno un racconto e quella diventa la verità. Ma credo che l’incidente frontale con la realtà sia ormai prossimo e spero solo che non ci faremo troppo male. Certe visioni del mondo sono fuori dalla storia: pensare di ritirare su muri, di chiuderci in stati nazionali da visione ottocentesca. È una cosa che non ha senso. Il mondo sta andando in un’altra direzione, è inutile che continuiamo a raccontarci questa favoletta, anche se per molti è rassicurante.

Un’astrofisica cattolica, sono conciliabili le due cose?

Il mio rapporto con la fede non c’entra nulla col fatto che sono uno scienziato, ho sempre pensato che siano due cose separate. La confusione che si fa tra fede e scienza è uno dei mali di questo mondo. Legare la tua spiritualità, la tua intimità, al tuo lavoro è sempre sbagliato. La fede è un fatto personale. Leggevo un bell’articolo del-l’Osservatore romano che parlava di Lemaitre, il gesuita che ideò la teoria del Big bang, e di come, appunto, sconsigliò all’allora Papa di parlarne pubblicamente. Mi rendo anche conto, però, di come la visione della Chiesa all’esterno sia riduttiva. Il padre della spettroscopia moderna, che ha gettato le basi per lo studio delle stelle, è un altro gesuita, Angelo Secchi, e non lo ricorda mai nessuno. La società appiccica delle etichette per semplificare le cose perché il cervello funziona così, ma il mondo non è semplice.

Perché un’astrofisica non hai mai scritto di fantascienza?

Non la sento come una cosa che mi appartiene. Personalmente ho un collegamento molto forte con l’elemento naturale. Ho bisogno di stare in contatto con la natura e mi interessano mondi che mi permettono di esaltare questo aspetto. Poi, certo, utilizzo elementi di fantascienza qua e là. In Pandora ad esempio c’è un ricercatore che si occupa di paranormale dal punto di vista scientifico. Ma ho sempre amato i draghi e già da bambina ero affascinata dai dinosauri, che sono molto affini ai draghi.

Come è stata l’esperienza televisiva?

È stato bellissimo, soprattutto per il confronto con le altre tre persone in studio. Ho imparato cose nuove. Il lavoro di scrittura è piuttosto solitario, il momento di incontro arriva solo con le correzioni. In sostanza comandi sempre tu. Invece questo è un lavoro comune e devo dire che mi mancava.

Come vede il livello attuale di fruizione e accesso alla cultura?

Non molto bene. Anche per questa separazione, come dicevo prima, tra cultura alta e cultura bassa che ha allontanato dalla cultura tante persone. Non si può amare Dostoevskij a 3 anni, c’è un percorso. Che però viene spesso negato da una certa intelligentia. Terza pagina in questo aiuta molto perché è una trasmissione alta ma si occupa anche di aspetti popolari. © RIPRODUZIONE RISERVATA La scrittrice Licia Troisi Illustrazione Paolo Barbieri

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