I dati ci sono e di questi tempi è già una notizia. Alla vigilia della Fiera del Libro di Francoforte, l’editoria religiosa italiana mette le carte in tavola, ammettendo che sì, la crisi continua, ma anche lasciando intendere che molto può ancora essere fatto. «La nostra è una scelta di trasparenza», rivendica
Giovanni Cappelletto, presidente dell’Uelci, l’Unione editori e librai cattolici italiani per conto della quale Giovanni Peresson (responsabile dell’Ufficio studi dell’Aie, Associazione editori italiani) allestisce un Osservatorio specificamente dedicato al mercato del libro religioso nel nostro Paese. Per quanto riguarda le abitudini dei lettori in materia di spiritualità e affini, ecco invece la ricerca Ipsos curata da
Nando Pagnoncelli all’inizio di settembre su un campione di duemila persone. Senza dimenticare il punto quadrimestrale fissato dal Consorzio
per l’editoria cattolica (Cec), che attraverso Rebeccalibri elabora la classifica dei “best seller della fede” pubblicata ogni settimana da “Avvenire”. Una serie di strumenti fra loro complementari, dove ogni cifra nasconde un’opportunità di riflessione.Qualche numero, dunque. Nel 2013 la produzione degli editori religiosi si è assestata sul 6,5% del panorama complessivo, con un lieve incremento (+2,7%) che parrebbe impallidire rispetto davanti al balzo in avanti dell’editoria “non di settore”, più che mai interessata a investire su titoli di argomento religioso (erano poco più di 1.300 nel 2012, sono andati oltre quota 1.600 lo scorso anno: in percentuale si tratta di un +25,3%). Una tendenza che può essere in gran parte ricondotta al “fenomeno Francesco”, ma che richiede in ogni caso di essere analizzata e discussa. «Il 2013 è stato caratterizzato da una serie di circostanze non ripetibili – spiega il direttore del Cec,
Giorgio Raccis –. Su papa Bergoglio, in particolare, si è concentrata un’attenzione senza precedenti, che adesso sta mostrando i primi segni di assestamento. Finora, a livello editoriale, ci si è soffermati sulla persona di Francesco e sul suo insegnamento. Da adesso in poi, invece, dovremmo sviluppare i temi che contraddistinguono il pontificato. Il Papa ha preparato il sommario, insomma, ma il libro è ancora tutto da scrivere».
E da vendere, si capisce. Impresa non facile in un mercato ancora in perdita. Anche nel 2013, com’è noto, si sono venduti meno libri rispetto all’anno precedente, ma il passivo del settore religioso (-12,5%) è più ridotto di quello complessivo (-14,7%). «Dalle nostre stime – spiega Nando Pagnoncelli – negli ultimi dodici mesi gli italiani hanno letto (attenzione: letto, non necessariamente acquistato) circa 10 milioni e mezzo di libri religiosi, spinti da motivazioni che vanno dalla volontà di approfondire la propria fede alla ricerca storica e culturale, con un’evidente accentuazione di un atteggiamento che potremmo definire “devozionale” nel senso più allargato. In linea di massima, i lettori riconoscono al libro religioso un ruolo insostituibile per quanto riguarda la spiritualità, ma vorrebbero un maggior impegno su problematiche oggi cruciali, quali il lavoro e l’ambiente». Due temi che, non a caso, rivestono un ruolo centrale nel magistero di papa Francesco.
L’editoria religiosa conferma alcune delle sue felici anomalie, come la preponderanza del “catalogo” rispetto alle novità (nel secondo quadrimestre del 2014 tra i “best seller della fede” spiccano titoli non recentissimi, come il
Diario di suor Faustina Kowalska, edito dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2007, o
Padre ricco padre povero di Kiyosaki e Lechter, che Gribaudi propone dal lontano 2004). Nondimeno, le librerie religiose restano in sofferenza e le chiusure, purtroppo, non sono mancate. Questione delicatissima, che il vicepresidente Uelci, Enzo Pagani, invita a considerare con franchezza. «Se ad abbassare la saracinesca è una normale libreria indipendente – osserva – è prevedibile che quello spazio venga coperto, presto o tardi, da una libreria di catena. Non così per i punti vendita religiosi, che nella maggior parte dei casi spariscono e basta, senza che il servizio da loro offerto (al lettore, ma anche alla comunità) sia in alcun modo rimpiazzato. Anche per questo, fatte salve le ragioni economiche, ogni situazione andrebbe affrontata nel modo più ampio e articolato, per esempio avvalendosi del tavolo comune che la Uelci di sua natura costituisce. In molti casi, invece, ogni realtà decide per conto proprio, senza riferirsi a criteri condivisi».