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L’accuratezza della ricerca, la disponibilità ad accogliere nuove interpretazioni e differenti sensibilità, il coraggio della discontinuità. Sono alcuni degli elementi che fanno salutare come molto importante la Storia dei valdesi pubblicata in occasione degli 850 anni del movimento di rinnovamento spirituale detto dei “Poveri di Lione” nato appunto nel 1174, su iniziativa di “un certo” Valdo. Un progetto editoriale in quattro volumi (euro 64,00 ciascuno) ideato dalla Società di studi valdesi e pubblicato dalla Claudiana, editrice di riferimento del mondo protestante in Italia, che viene ad aggiornare una narrazione ferma, come ha spiegato Gian Paolo Romagnani, presidente della Società di studi valdesi, alla vecchia Storia dei valdesi di Amedeo Molnár, Augusto Armand Hugon e Valdo Vinay pubblicata tra il 1974 e il 1980. Da allora molto è cambiato, nell’esplorazione di nuove fonti documentarie e correnti storiografiche ma anche grazie a un progressivo affrancamento, se si può dire così, dai lacci di un’appartenenza confessionale e identitaria che là dove domina rischia di indebolire la validità scientifica di un progetto. Pericolo che peraltro non riguarda solo il mondo protestante. «La lettura che si fa oggi – osserva Eugenio Bernardini, presidente dell’editrice Claudiana, già moderatore della Tavola valdese – ci fa apparire ogni momento della storia molto più articolato e complesso di come sembrava un tempo, quando si preferiva una narrazione di tipo cronologico, in cui naturalmente non si negavano le fratture ma sembravano più evidenti gli elementi di continuità».
Un esempio può essere utile. Quando nel 1500 – prosegue Bernardini – «il movimento incontrò la riforma protestante francofona dei Cantoni svizzeri e della Francia, di Strasburgo essenzialmente, secondo le narrazioni precedenti ci fu un’adesione entusiastica con qualche critica da parte di alcuni “barba”, che erano i predicatori dell’epoca. Oggi invece possiamo dire che il processo durò una ventina d’anni richiedendo cambiamenti importanti. Per esempio, il fatto che i ministri si sposassero diventando residenziali e che si costituissero le parrocchie, invece dell’itineranza e della clandestinità. Fu un periodo lungo e complesso, con qualche sofferenza di una parte del movimento che ci teneva a mantenere gli elementi più tradizionali, alcuni peraltro rimasti, come la libertà di coscienza e quindi di insistere per avere riconosciuta una religione diversa da quella del principe, che per l’Europa dell’epoca era un fatto assolutamente impossibile. E poi la sobrietà, la povertà, linee portanti del movimento in epoca medievale».
Come detto il piano dell’opera prevede quattro volumi, ciascuno dei quali riferito a un preciso periodo storico, dalle origini a oggi. Per la precisione: “Come nuovi apostoli”, dedicato ai secoli XII-XV (pagine 678, a cura di Francesca Tasca); “Diventare riformati. 1532-1689” (pagine 864, a cura di Susanna Peyronel Rambaldi); “Dal rimpatrio all’emancipazione. 1690-1870” (pagine 844, a cura di Gian Paolo Romagnani); “Evangelizzazione e presenza in Italia. 1870-1990”, (pagine 820, a cura di Paolo Naso). Il risultato è un lavoro di ampio respiro, intergenerazionale e interdisciplinare, frutto degli ultimi cinquant’anni di studi e ricerche, compiuto da parte di un centinaio di storici e storiche nonché di studiose e studiosi, (solo in minoranza di estrazione valdese), di sociologia, antropologia, linguistica, letteratura e altre discipline, coordinati dai quattro curatori dei volumi, ciascuno in relazione al periodo di competenza. E proprio la pluralità di contributi, con voci di differente matrice confessionale sta ad indicare la volontà di uscire da una prospettiva centripeta, a uso prevalentemente interno, per offrire un contributo al dibattito storiografico internazionale, e, su un piano più strettamente socio-religioso, inserirsi nella riflessione che anima il mondo evangelico contemporaneo, soprattutto italiano ed europeo. «Dopo la pubblicazione del 1974 – spiega Bernardini – la curiosità verso la nostra storia è cresciuta e molti giovani studiosi si sono messi all’opera per scavare, per tirare fuori documenti che non si conoscevano. Parallelamente c’è stata un’evoluzione non solo dei valdesi ma del cristianesimo italiano nel suo insieme, all’insegna di una maggiore apertura e cooperazione ecumenica».
Non a caso, in questa nuova opera editoriale sono molti i contributi di cattolici. «In modo quasi naturale – continua Bernardini - oggi i valdesi sono studiati non soltanto, ma direi neanche soprattutto, dai valdesi». Il dialogo come cifra e paradigma, dunque. «Sì, assolutamente. Mentre un tempo si preferivano autori di cultura protestante, anche perché in Italia era più difficile poterli leggere, dagli anni ’70, da dopo il Concilio Vaticano II, quella del confronto è diventata una pratica comune. Oggi anche gli studi teologici che riguardano la Scrittura sono fatti a prescindere dalla provenienza confessionale, a partire da un sottostrato comune. E questo bisogna dire aiuta tutti, è una benedizione». Un differente approccio, figlio dei tempi che cambiano. «La storia – osserva Bernardini - non è più raccontata e studiata come si faceva negli anni ’60 del secolo scorso. I volumi che uscirono nel 1974 erano comunque stati generati da ricercatori che avevano raggiunto la maturità nel decennio precedente. Oggi anche grazie alla maggiore facilità con cui si organizzano incontri internazionali, alla comunicazione informatica, a biblioteche aperte come non erano prima, stanno venendo alla luce aspetti della storia che allora non si immaginavano neppure».
La discontinuità come valore necessario, si potrebbe dire. «La complessità della storia, quando viene riconosciuta – conclude Bernardini -, ci fa capire quanto sia articolata e come certe scelte diventino necessarie di fronte a un contesto grandemente cambiato. Scelte che magari fanno soffrire, che qualcuno ritiene un tradimento delle tradizioni passate, ma che poi si rivelano positive portando anche, diciamo, a dei risultati insperati. Per esempio, i valdesi sono sempre stati, fino alla Costituente, per un rapporto tra Chiesa e Stato tipicamente liberale: libera Chiesa in libero Stato. La Costituzione con l’articolo 7 che mette nella Carta il Concordato e l’articolo 8 che riconosce anche per le confessioni religiose diverse dalla cattolica la possibilità di intese con lo Stato li porta su posizioni più pattizie. Non si può più parlare, di una laicità, diciamo alla francese in cui le religioni non si vedono riconosciuto un apporto da portare nella società. Negli anni 48, 49 e 50 del secolo scorso, ci fu da noi una discussione profondissima e molti dissero che questo cambiamento di prospettiva era un tradimento. Credo invece che alla fine si sia trattato di una decisione giusta che portò a risultati importanti, e che oggi consente di immaginare, non solo per le varie confessioni cristiane ma per tutte la religioni, la possibilità di dare un apporto positivo alle società, rivendicando il proprio ruolo, senza che questo comporti dei privilegi particolari».