Il musicologo e critico Pascal Huynh, specialista della musica tra le due guerre, è il curatore della mostra 'Lenin, Stalin e la musica', in corso alla Cité de la musique di Parigi, dedicata ai complessi rapporti tra il potere totalitario moscovita e la musica.
La mostra si apre con una presentazione delle avanguardie russe prima della rivoluzione del 1917. Quali ne sono le linee di forza, soprattutto in ambito musicale? «L’avanguardia artistica, declinata in vari movimenti quali il futurismo e il suprematismo, esiste ben prima dell’ottobre 1917. In musica, si tratta per i compositori di arrivare a una nuova organizzazione sonora in grado di spazzare via l’ordine preesistente. L’opera Vittoria sul sole , alla quale collaborò il pittore Malevich, è emblematica di tale ambizione. Gli esegeti della rivoluzione hanno addirittura voluto scorgere nella musica misticheggiante di Alexander Scriabin (morto nel 1915) un appello al rovesciamento, a spingersi oltre. Come se nell’arte ci fossero già in germe gli avvenimenti sociali e politici di là da venire. Molti artisti si impegneranno con entusiasmo con il governo rivoluzionario. Anche se, ben presto, nasceranno tensioni: come possono, ad esempio, i sostenitori dell’astrazione ammettere la concezione funzionale e pratica dell’arte esaltata dai bolscevichi?».
In che modo si manifesta tale tensione?«Lenin aveva profonde reticenze verso l’avanguardia e il futurismo. Gli premeva di più educare le masse, anche se aveva nominato commissionario del popolo all’istruzione Anatoli Lunatcharski, un erudito di larghe vedute. A quell’epoca un compositore come Arthur Lourié, ad esempio, aveva tentato di applicare la sua estetica futurista al contesto rivoluzionario. Non senza conseguenze. Finirà per lasciare la Russia nel 1922. Gli ambienti proletari esaltano un’arte specificamente rivoluzionaria, di rottura con l’elitarismo borghese. Il canto corale di massa, con i suoi inni facili da memorizzare e da cantare, anche per i dilettanti, è il miglior veicolo del nuovo ideale musicale. A poco a poco si forma un repertorio che si integra con i grandi spettacoli popolari all’aperto come La presa del Palazzo d’Inverno . Parallelamente l’educazione musicale dei giovani s’inscrive in un vasto meccanismo di formazione, sul modello dello sport. I più dotati formano un’èlite di interpreti che, più tardi, serviranno da 'vetrina' all’Urss nella concorrenza con l’Occidente».
Tutto vacilla alla fine degli anni Venti…«Anche se Stalin ha mosso le sue pedine in precedenza, è nel 1929 che va collocata la 'grande svolta' staliniana. Fino ad allora, in particolare a Leningrado, c’era una vita culturale intensa, venivano rappresentate opere occidentali come il Wozzech di Alban Berg. Nel 1930 Stalin fa chiudere le associazioni degli artisti rivoluzionari e le sostituisce con le Unioni dei creatori. D’ora in poi l’arte e l’artista, totalmente strumentalizzati, non avranno altra missione che cantare le lodi del regime, celebrarne la perfezione. L’artista – per Stalin, lo scrittore come il musicista – è considerato 'l’ingegnere dell’anima umana'. Abbandona l’ambito appartato dell’arte per l’arte per mettersi al servizio della comunità. Per il regime sovietico, la musica doveva essere illustrativa e funzionale».
Che posto ha la 'musica pura' in tale sistema?«Un posto estremamente ridotto. Le opere strumentali sono troppo astratte per veicolare un’ideologia in modo immediatamente leggibile. La musica socialista passa anzitutto attraverso il palcoscenico dell’opera o lo schermo cinematografico. Un fenomeno molto interessante è il recupero e la riscrittura di grandi opere del repertorio, come la Tosca di Puccini o Il Profeta di Meyerbeer, per adattarle alle esigenze sovietiche. A partire dalla fine degli anni Venti si assiste anche a tentativi di 'opera ideale', come Ghiaccio e acciaio di Dechevov, sulla rivolta dei marinai di Kronstadt… Al tempo stesso Il naso del giovane Shostakovich viene considerata troppo complessa, innovatrice e formalista. Quello stesso formalismo che, a partire dal 1936, diverrà il nemico estetico da abbattere… Al cinema i film di Grigori Alexandrov – commedie musicali di strabiliante successo – sono disseminati di canzoni che hanno il potere di adunare».
In una precedente mostra lei aveva lavorato sulla musica durante il Terzo Reich. Quali sono le similitudini con l’era sovietica? «Se si pensa all’allineamento degli artisti e al desiderio che la musica esalti le virtù del regime e dell’uomo nuovo, è ovvio che ci sono convergenze. Comuni indubbiamente a tutti i totalitarismi. Tuttavia i contesti culturali sono radicalmente diversi. In Germania la musica è l’arte di riferimento. È legata a una metafisica. Hitler si considera il continuatore di Wagner come di Bismarck. Nelle sinfonie di Bruckner vede un’esaltazione della terra tedesca. Hitler e Goebbels conoscono benissimo la musica, a differenza di Lenin e Stalin». (
traduzione di Anna Maria Brogi)