Francesco Ghirelli, presidente della Lega Pro
La Lega Pro è ripartita di slancio e il suo presidente, Francesco Ghirelli, si conferma il più attento a un «calcio sociale. Il nostro Pnnr presentato al governo, parla di 60 società di C che possono funzionare da altrettante App per una ripresa, non solo sportiva, ma sociale dei comuni e dei territori in cui operano». Ma soprattutto Ghirelli è il più disponibile tra i nostri dirigenti a quelle «grandi riforme», fin qui solo sbandierate, specie da coloro che «sono convinti, e non è certo il caso del presidente della Figc Gabriele Gravina, che la riforma si faccia “tagliando” la serie C e lasciando tutto il resto così com’è...».
Insomma, le solite logiche gattopardesche. Ma andiamo con ordine, presidente Ghirelli: falchi tiratori a parte, almeno è soddisfatto della composizione del vostro campionato, 3 gironi da 20 squadre senza “riserve”.
Confesso che sarò davvero appagato quando avremo riformato completamente il sistema calcio italiano. Sono un pasdaran della riforma che passa in primis dalla sostenibilità economica. Il nostro calcio di vertice registra 5 miliardi di euro di debiti. Un dato preoccupante, perché la Serie A non solo rischia di non essere più competitiva con gli altri campionati europei, ma può andare incontro a un crac sistemico irreversibile.
Invece qual è lo stato di salute della Lega Pro?
Buono. E senza ombra di presunzione posso dire che rappresento l’unica Lega calcistica che fa proposte concrete. Martedì 14 settembre alla mia Assemblea proporrò di togliere ripescaggi e riammissioni per evitare gli effetti collaterali delle deroghe che, per esempio, condizionano la urgenza di darsi strutture manageriali da aziende. Dobbiamo, lo chiederò, che le licenze nazionali vengano emanate a settembre dando un quadro di certezza all’inizio del campionato. L’obiettivo però è emulare la Germania dove vige la preiscrizione delle società. E noi vorremmo che si facesse fin da marzo, in modo da non assistere alla solita coda di sofferenze e di dispute tra club alla vigilia dei campionati.
Sofferenze e lotte che hanno portato a sei società non iscritte alla Lega Pro 2021-2022.
Di quelle sei io considero eclatanti le tre mancate iscrizioni di Novara, Carpi e Sambenedettese. Dispiace perché a pagare sono nuove proprietà che si erano appena affacciate nel calcio. La nuova Samb, per esempio, aveva messo sul piatto 1,5 milioni di euro e non ce l’ha fatta in quanto non ha tenuto conto dei pregressi e delle criticità strutturali. Le bocciature comunque non avvengono più per crac finanziari, ma sono la diretta conseguenza di una grande produzione legislativa sul versante del fisco che ha punito chi non si è adeguato a livello organizzativo. Io ai presidenti dei nostri club consiglio sempre: comprate un giocatore in meno e investite su un professionista della gestione societaria in più. In futuro, dobbiamo fare il massimo per la formazione dei dirigenti. Questa è la priorità delle priorità.
Capitolo fusioni, Ancona-Matelica è un eccezione che fa un certo effetto.
Per noi è una formula già sperimentata con la Giacomense che si fuse con la Spal, e l’operazione come si è visto ha dato degli effetti positivi con il ritorno della squadra di Ferrara in Serie A dopo quasi mezzo secolo. La fusione è valida quando c’è, come nel caso di Matelica, la possibilità per il piccolo club di mantenere salde le proprie radici e al contempo serve a far mantenere la squadra del capoluogo di regione, come Ancona, tra i professionisti, con una ricaduta importante sul territorio.
La vicenda della C “esclusa” e poi rientrata nella Coppa Italia delle grandi si è poi ricomposta...
Parzialmente ricomposta. Nell’agognata riforma, la Coppa Italia dovrebbe seguire il modello inglese: squadre di D e C che possono comportarsi da Davide che sfida Golia (club di A) sul proprio campo, in gara secca. I grandi esperti di marketing non hanno ancora capito che il prodotto televisivo non si riqualifica con la replica delle sfide di campionato tra le grandi, ma serve proporre la “rarità”, tipo la diretta di Giana Erminio-Milan disputata a Gorgonzola, ovviamente senza ritorno dal risultato scontato a San Siro. In un Giana-Milan chi ama davvero il calcio ritroverebbe quello spirito da “favola” che ormai si è perso e che va riconquistato.
A proposito di “favola”, ora in Lega Pro c’è quella del neopromosso Monterosi.
Con i 4mila abitanti del paese di Monterosi, il suo club è il più piccolo del calcio professionistico dove è arrivato grazie a un grande imprenditore in grado di mettere in campo iniziative che per stile, educazione e utilità sociale sposano a pieno il nostro progetto di valorizzazione territoriale. Queste microrealtà io le associo sempre al mondo del volontariato: lavorano nell’ombra, ma se gli offriamo una vetrina adeguata poi il grande pubblico scopre che non solo fanno bene, ma spesso fanno meglio degli altri.
L’effetto Mancini e la sua Nazionale ha avuto una ricaduta tangibile anche sulla C?
Certo, ma attenzione: tutti esaltano il lavoro di Roberto Mancini, ma poi nessuno nel calcio italiano ha avuto ancora il coraggio di seguire davvero le orme del ct. Il “Mancio” ha semplicemente applicato la logica: dare la possibilità ai nostri giovani di entrare in Nazionale e di giocarsela fino al punto di vincere l’Europeo. Questo criterio della formazione e della valorizzazione dei giovani, a parole tutti lo praticano, ma poi in concreto nessuno osa tanto. La Lega Pro fa la sua parte. La Nazionale di Serie C guidata da un grande ct come Daniele Arrigoni, per cominciare ha abbassato l’età media dei suoi calciatori da 19-21 a 15-17 anni.
Concludiamo con le seconde squadre: un progetto a cui ha aderito la sola Juventus, con la sua Under 23, quindi è destinato a chiudersi?
Faccio notare che la Juventus ci ha creduto e ha avuto il suo bel ritorno con giocatori lanciati in prima squadra, decine di ragazzi in prestito o venduti a società di tutti i campionati professionistici, in Italia e all’estero. A chiudersi non sarà il progetto seconde squadre, semmai nei prossimi due anni quello delle multiproprietà. Per allora, confido in altri grandi club disposti a creare le loro seconde squadre. Agli scettici, ricordo lo studio che presentammo tempo fa mettendo a confronto Morata, cresciuto nella seconda squadra del Real Madrid e Spinazzola, prodotto della Primavera della Juventus. Ebbene grazie al “Real B”, Morata ha poi debuttato nella Liga con il Real Madrid a 18 anni, Spinazzola dopo una miriade di prestiti è arrivato in A tre anni dopo, a 21, e non con la Juve ma con l’Atalanta.