Richard Tuschman ©, Morning Sun, 2012 - Courtesy Photology
Una donna guarda il mondo dalla finestra, seduta sul suo letto. È una delle rappresentazioni più iconiche e conosciute del mondo silenzioso, solitario, malinconico di Edward Hopper. Si intitola Morning Sun (1952). Il sole del mattino. Una scena di questi tempi, da perfetto lockdown. Attuale, come tante altre opere del grande maestro del realismo americano della prima metà del Novecento. Che siano interni domestici, scenografie urbane o certi paesaggi di Cape Cod, poco importa. Hopper riesce a comunicare un forte senso di inquietudine o di calma interiore che si riflettono negli sguardi di donne e uomini sospesi tra la volontà di vivere e l’incapacità di esistere, in attesa di qualcosa che sembra tardi ad arrivare. Atmosfere tanto struggenti quanto poetiche di 'interni di solitudini', ma anche di malinconiche vite fuori, persone 'abbandonate' nei locali, davanti a un bancone da nottambuli o al un tavolino di un caffè del pomeriggio. Realismo di ieri e di oggi, pitture 'fotografiche' che ispirano nuovi artisti. Fotografi contemporanei che partendo proprio da quelle pennellate esprimono le narrazioni di nuove solitudini, di ulteriori silenzi, di altre assenze.
Franco Fontana ©, Houston, 1985 - Courtesy Photology
A misurarsi con i quadri di Hopper per restituirci la solitudine e la malinconia del nostro tempo – ben prima della pandemia, ma che l’emergenza sanitaria ha mostrato nella sua drammaticità, insieme alle fragilità del mondo e della sua globalizzazione – sono Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana e Richard Tuschman, protagonisti della mostra 'Hopperiana. Social distancing before Covid-19' - fruibile in modalità virtuale fino al 28 febbraio nel 'museo' di Photology Online Gallery. È il terzo capitolo – virtuale – che segue le mostre reali di Milano (2014) e Noto (2016) promosse dalla storica e nello stesso tempo innovativa galleria di Davide Faccioli. Un’esperienza immersiva nelle opere dei fotografi con la possibilità anche di vedere un video in cui gli artisti raccontano il loro pensiero.
Luca Campigotto ©, Butte Montana (Sweet Caporal), 2019 - Courtesy Photology
Come nei dipinti hopperiani, nei lavori dei quattro autori regna il silenzio: la scena è spesso deserta, di rado è presente più di una figura umana, e quando ciò accade tra i soggetti sembra emergere una drammatica estraneità e incomunicabilità. Con la serie Hopper Meditations Richard Tuschman ricrea in maniera quasi fedele le pitture e le atmosfere di Hopper, in composizioni - fra arte, realtà e Photoshop - di straordinaria bellezza che ne conservano tutto il fascino e per certi versi ne amplificano il mistero e la magia: «Ho sempre amato Hopper – dice il fotografo statunitense –. Con pochi mezzi riesce ad affrontare alcuni misteri della mente le complessità della condizione umana. Lo stato d’animo dei personaggi sembra oscillare paradossalmente tra sogni e alienazione, tra desiderio e rassegnazione».
Gregory Crewdson ©, Untitled (Beer Dream), 1998 - Courtesy Photology
Crewdson scava nell’America di Hopper, dando un taglio cinematografico a quella desolazione quasi sacrale dell’uomo, solo e muto. E poi ci sono le visioni urbane, diverse e per certi versi complementari di Campigotto e di Fontana. «Spazi lontani dove non c’è gente – dice Campigotto –. Spazi dove proiettare il proprio immaginario». Lo vediamo nelle sue visioni di Gotham City (Chicago) o Butte nel Montana. Ci sono le persone, poche e distanti, negli scatti di Fontana. Le immagini e i colori colti nei viaggi in America degli anni Ottanta e Novanta; le sue Polaroid dipinte, che rivelano la realtà «creata» dall’artista modenese. Una realtà «in mutamento. Come la vita». Quella che oggi ci appare sospesa. In un mondo che guardiamo dalla finestra, seduti sul nostro letto. Ma che forse presto tornerà a risplendere, con il sole di un nuovo mattino.