Un fotogramma di "Dottori in corsia" - www.ospedalebambinogesu.it
Michelle ha 18 anni ed è in attesa di un trapianto di cuore; Laura ne ha avuto uno appena nata, con un rene che le ha donato la mamma: sono due pazienti dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma oltre che le protagoniste della prima puntata di Dottori in corsia, la serie targata Stand by Me e Rai Fiction che torna nella seconda serata di Rai 3 a partire da lunedì 19 febbraio, con la partecipazione di Eleonora Daniele, che torna anche in questi episodi ad accompagnare i familiari e lo staff medico nel racconto della lotta alla malattia riportando sempre al centro i bambini e i ragazzi, con le loro aspirazioni per il futuro e le loro passioni.
Una serie di quelle che dovrebbero andare avanti all’infinito perché non solo ci racconta il quotidiano del più grande Policlinico e Centro di ricerca pediatrico in Europa ma perché, come spiega la produttrice Simona Ercolani (anche ideatrice della serie insieme a Coralla Ciccolini), «ha aperto le finestre su un mondo che era nascosto. Aprendole, abbiamo visto sì il dolore, ma anche la possibilità delle cure cui tutti abbiamo diritto: non tutti, purtroppo, possono essere guariti, ma non per questo non devono essere curati. E questo lo sanno bene al Bambino Gesù dove è infinita la dedizione anche verso i pazienti affetti da malattie rare che non interessano a nessuno perché colpiscono solo pochi bambini e, dunque, non sono remunerative».
Un altro elemento importante, aggiunge la Ercolani, «è che il Bambino Gesù è uno di quei posti in cui nessuno viene lasciato indietro, non solo dai medici ma da tutto il personale. C’è un’attitudine diversa, empatica, che si riversa anche sulle famiglie che si trovano a volte ad attraversare vere e proprie tempeste». Perché, non possiamo negarlo, la sofferenza dei bambini è qualcosa che ci lascia attoniti, che ci interroga come credenti e per la quale lo stesso papa Francesco ha ammesso di non avere una risposta: «Se non ce l’ha lui, figuriamoci io – osserva la Ercolani –. Quello che so, però, è che solo la fede può darti una speranza. Non l’assicurazione che tutto andrà bene, ma la speranza che è il motore della vita».
Per questo lei è la prima a essere grata a Dottori in corsia che, sottolinea, le ha insegnato una cosa molto importante: « Ha cambiato la mia consapevolezza di madre, ho capito quanto i figli vogliono bene ai genitori. Quando, durante le riprese della prima stagione, un piccolo paziente mi ha detto: “Non voglio che mia madre e mio padre soffrano, se non guarisco loro stanno male”, ho pensato per la prima volta che non siamo solo noi genitori a prenderci cura dei figli, ma anche il contrario. Come è vero che nessuno amerà mai un figlio più di un genitore, è altrettanto vero che nessuno ama un genitore più di un figlio».
Tra i tanti bambini che ha incontrato nel corso delle stagioni di Dottori in corsia a Simona Ercolani uno è rimasto particolarmente nel cuore: « È un ragazzino che è mancato dopo che abbiamo finito le riprese. Non voglio dire il nome, sua mamma capirà che parlo di lui. Aveva un tumore, sembrava che fosse guarito e, invece, ha avuto una ricaduta. Sono contenta di avere raccontato la sua storia anche perché, oltre al dolore, è rimasto un legame con i suoi genitori. Lui voleva fare il ballerino, ha fatto con noi il suo ultimo ballo sulla terra e noi lo vogliamo immaginare mentre continua a ballare in cielo».
A proposito della morte, con cui si ha inevitabilmente a che fare quando si racconta un ospedale, Simona Ercolani spiega così la scelta di portare in tv solo storie a lieto fine: « È un tema su cui ci siamo confrontati perché è vero che non tutti guariscono. Però abbiamo pensato che non c’è bisogno di raccontare la morte per ricordarsi che esiste questa possibilità. E come ci insegna il grande regista tedesco Werner Herzog, ci sono cose su cui bisogna passare oltre e che bisogna trattare con pudore. Il che non vuol dire tabù, ma semplicemente rispetto».