Il gioco del nascondino in un affresco proveniente da Ercolano (I secolo d.C.) e conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli - WikiCommons
L’infanzia agli albori della civiltà greca è un argomento sfaccettato, ma ad alcuni, forse, verrà in mente un’immagine costruita nella nostra mente attraverso la lettura di un noto epigramma dell’Antologia Palatina, in cui si menziona una bambola donata ad Artemide, probabilmente come dono e protezione dell’infanzia stessa, al centro degli interessi della dea. Ma quale ruolo occupavano i piccoli nella società di quel momento? Non è facile dirlo. L’uscita del corposo aggiornamento bibliografico a cura del filologo Yannis Panidis per l’Università di Creta, anche in una comoda versione online, dal titolo Children and women in Graeco-Roman Antiquity: a Bibliography, va a integrare il prestigioso e insostituibile studio di H. I. Marrou sull’educazione nel mondo antico, nella riedizione curata da Giuseppe Tognon per l’editore Studium. L’occasione è utile per tornare a riflettere sulla gran quantità di pubblicazioni, almeno nell’arco di un secolo, circa l’infanzia nel mondo classico: argomento spesso citato in singoli saggi o in ampi volumi miscellanei, ma mai approfondito sistematicamente, mettendo cioè a punto un necessario corpus di citazioni per riuscire a farsi un’idea complessiva, attraverso le varie fasi cronologiche, del ruolo del bambino, che, nella lingua greca peraltro, è individuato con termini diversi, approfonditi linguisticamente agli inizi del Novecento in un autorevole saggio tedesco di F. Boll. Da evidenziare, anche l’uscita, un po’ in sordina, lo scorso anno, di Children as Learners and Producers in Early Greece, per l’Università di Oxford, a cura di due notevoli intellettuali, Judith Evans Grubbs e Tim Parkin, accanto ai più datati e approfonditi volumi di Gabriella Seveso sempre per i tipi di Studium. Partendo dall’indagine bibliografica di Panidis, di cui si diceva in apertura, e andando a sfogliare alcuni studi da lui citati, si riesce a mettere in evidenza come dagli inizi del Novecento a oggi le pubblicazioni sulla storia dell’infanzia nel mondo antico, e in particolare greco arcaico e classico, sono tante e di taglio diverso, ma quasi tutte volte a sottolineare un comune elemento antropologico. Da questa ricca bibliografia emerge come i bambini e le bambine della Grecia, ben più che a Roma, hanno ricoperto un ruolo significativo come partecipanti attivi alla 'riproduzione' culturale attraverso l’elemento educativo della ritualità. Alcuni approfondimenti antropologici hanno messo in luce criteri e modelli di un’infanzia come oggetto rituale nella formazione, a iniziare da quel famoso VIII secolo, quando l’educazione omerica era nelle mani del cosiddetto 'nutritore', con figure mitiche come Fenice e Chirone, i quali rappresentavano una complessa ambiguità nel rapporto pedagogico antico, a metà fra l’educazione alle armi e quella alla parola, che nel tempo sarebbe diventata educazione maieutica. La vera rivoluzione pedagogica inizierà soltanto, come noto, nell’Atene socratica, che aveva perfino mal tollerato quella 'Nuova Educazione' (per citare un’espressione di Aristofane) proposta da Socrate, un’educazione intesa come stravolgimento perfino politico. Ben prima di questo momento di svolta per la storia dell’educazione, vanno però considerate testimonianze letterarie provenienti dall’epica e in parte dalla lirica, oltre che piccole ceramiche realizzate, ad esempio, nel santuario di Artemide a Eretria, da cui vien fuori quella panoramica rituale sull’infanzia. È proprio analizzando l’elemento del rito, anche all’interno delle Panatenee, che si tratteggia una dimensione del «bambino prematuramente in uscita », dove l’oikos, come ha sottolineato la storica Egle Becchi, si apre agli scambi sociali meno legati ai ruoli familiari, ma in quest’apertura si perde anche il calore della famiglia, il divertimento del gioco e la spensieratezza dell’età. Anzi, il bambino e la bambina in quest’oikos allargato sono proiettati verso un mondo, che spesso sfugge a loro stessi e che si rivela come una religiosità forzata. Durante le annuali Panatenee si possono cogliere i ruoli assegnati ai più piccoli e nella commedia Lisistrata di Aristofane si racconta dell’itinerario formativo di alcune bambine dell’Atene del V secolo: dai sette agli undici anni devono essere a servizio della dea Atena, ricamando un peplo, presidiando il tempio della Poliade fino alle feste in cui portano, da qui, i doni fino al santuario di Afrodite. E poi ci sono le bimbe alectrides, cioè quelle che macinano faticosamente il grano in onore di Atena e quelle vestite di giallo zafferano, che danzano religiosamente come le orse, segretate vicino al tempio di Artemide, a Brauron, a una trentina di chilometri da Atene. Non è mai stato facile esser bambini, neanche quando, come racconta Platone, il maestro procedeva alla didattica della scrittura, obbligandoli a scrivere seguendo, per tante e tante volte, una stessa traccia, fino alla stanchezza della mano.