Giuseppe dalla Torre - archivio
«È necessario che al non essere impediti ad agire secondo i propri convincimenti di coscienza, o all’essere costretti ad agire contro questi, si accompagni anche, positivamente, la possibilità di esprimere tali convincimenti in pubblico, di darne testimonianza non solo attraverso gli atti di culto, ma anche attraverso comportamenti concludenti che siano significativi del credo religioso» (Giuseppe Dalla Torre,
Laicità cristiana, 2007). La laicità cristiana è una categoria morale ed esistenziale della nostra modernità ma, considerando il nostro dna culturale evolutosi nell’incontro della tradizione ebraico-cristiana con la tradizione greco-romana, è possibile affermare che l’archetipo dell’umanesimo cristiano vissuto in condizione di consapevole e sofferta laicità, è Dante Alighieri. La sua libertà di pensiero, connessa a una illibata ortodossia, emerge con forza nei canti X-XII del Paradiso, nei quali sono indicate le fonti sapienziali di codesta ortodossia. Pertanto, se nella prima schiera di spiriti sapienti Sigieri di Brabante è al fianco di Tommaso, che sulla terra ne aveva avversato le idee, nella seconda schiera Gioacchino da Fiore si trova vicino a Bonaventura che lo aveva combattuto come un falso profeta. La verità, secondo Dante, si rivela a quanti con animo puro la ricercano, attraverso un metodo di lavoro che si potrebbe definire sincretico, ma anche profetico, per la militanza all’interno della Chiesa. Nella modernità il sintagma laicità cristiana, dopo Voltaire e dopo Nietzsche, sembra quasi un ossimoro, eppure, proprio all’interno dell’illuminismo può esserne ricercata la radice gnoseologica. Nell’opera
La religione entro i limiti della semplice ragione (1793) Immanuel Kant considera che tra religione e morale vi è un’intima compenetrazione, tale che il comportamento morale assume un aspetto religioso, non perché l’uomo morale faccia riferimento a un sistema di regole esterne, ma perché ritiene possibile un perfetto accordo tra imperativo categorico e volontà di Dio. Codeste affermazioni renderanno possibile l’incontro tra fede e ragione nel Concilio Vaticano II. Pertanto la generazione di laici cristiani che precede Giuseppe Dalla Torre sembra vivere una condizione interiore, una spiritualità, in costante equilibrio tra i due piatti della bilancia della fede: da un lato il dogma, dall’altro le opere, un
habitus morale estremamente complesso, in cui l’appartenenza alla fede in Cristo deve sopportare il confronto con la storia. Esemplari la vita e l’opera di Igino Giordani, di Adriano Olivetti, di Aldo Moro. Per Giordani la fede è segno di contraddizione: «Il Cristo risultò segno di contraddizione, non tanto perché gli altri contraddicessero a lui quanto perché egli contraddiceva agli altri». L’impegno dell’uomo di fede consiste nell’essere e vivere nella Storia. Candidandosi alle elezioni del 1946, Giordani mise in atto la sua idea di democrazia: riconoscimento della dignità e del valore di ognuno nella determinazione del bene comune. Nella stessa direzione si colloca il rapporto teoria-prassi dell’umanesimo cristiano di Adriano Olivetti, che nel saggio
Per una civiltà cristiana (1949), richiamando Atti 4, 32-35, evoca «un nuovo equilibrio di pace e di armonia in cui i valori materiali e spirituali siano armonicamente fusi e sempre partecipanti ad un fine, quando questo fine sia lo stabilirsi di una civiltà cristiana». Caratteri di codesta civiltà sono la libertà, il riconoscimento dell’idea di autorità cristianamente intesa e la divisione dell’attività politica in ordini funzionali. Progetto umanitario, lavoro intellettuale e sviluppo sociale si integrano in una visione del reale, fatta di lavoro e cultura, e popocristianesimo lata da uomini e donne liberi e creativi: «Il segreto del futuro si trova soltanto rendendo ai valori spirituali la loro supremazia. Per ritrovare le fonti ispiratrici di un’autentica civiltà occorre abbandonare le concezioni materialistiche della storia e incentrare, illuminare l’azione politica degli insostituibili valori del ». (
Per una libera comunità del Canavese, 1953). Pienamente in Aldo Moro si esprime lo spirito del Concilio Vaticano II. Nel discorso
Un partito aperto per un congresso aperto (1975) il suo umanesimo cristiano intreccia tra loro le parole-chiave confronto, libertà, responsabilità, giustizia: «L’equilibrio tra le crescenti libertà della società moderna ed il potere necessario all’ordine collettivo è fra i più grandi, se non il più grande problema della nostra epoca». La fede può incontrare le laicità della contemporaneità, può combattere il laicismo, l’intransigenza cattolica e l’isolamento culturale, può infine dare un senso e uno scopo alla laicità cristiana: le strade da seguire possono essere cercate e trovate. Così suggeriva Giuseppe Dalla Torre, nel
Ritratto spirituale di Carlo d’Austria ( 2004), citando le parole dello stesso Carlo d’Austria: «Se il buon Dio mi permette di essere il più modesto e dimenticato pioniere nell’erezione della Sua grande opera, allora questo sarà il massimo onore e la mia gioia, e io non potrò mai ringraziarlo abbastanza per questo».