Lidia Kozenitzky, "Tamar" - WikiCommons
Lezioni, dialoghi, letture, meditazioni, esperienze, camminate nella natura per lasciare che i desideri si affaccino alla luce. Tutto questo è Torino Spiritualità, spazio di riflessione e di confronto tra coscienze, culture e religioni, che torna da oggi al 20 giugno, in città e online. "Desideranti" è il tema del 2021, per riflettere sul nostro essere abitati dal desiderio: costantemente spinti oltre noi stessi da una forza che scardina ogni equilibrio, ma capace di alimentare la nostra vita come null’altro potrebbe. Numerosi gli ospiti fra i quali il Nobel Kazuo Ishiguro, Marilynne Robinson in dialogo con Alessandro Zaccuri, e poi Givone, Žižek, Recalcati, Crepet, Petrosino, Antonioli, Enzo Bianchi. In pagina anticipiamo una sintesi dell’intervento di Delphine Horvilleur previsto domenica alle 11: "Il desiderio di essere visibili. Nudità, femminino e Scritture".
Nelle Scritture il femminile è associato al mondo dell’interiorità e va protetto da contaminazioni esterne, ma quando agisce cambia il corso della storia Nel mio lavoro di rabbina, di esegeta e in particolare nel libro Nudità e Pudore. L’abito di Evami sono occupata del ruolo tradizionale della donna nel giudaismo e nella letteratura ebraica, ma questo può essere assolutamente estrapolato e applicato ad altre tradizioni religiose e culturali, non definibili come religiose. Siamo gli eredi di un mondo in cui la donna è stata quasi sempre definita come appartenente al genere dell’interiorità. La donna è colei che si colloca sia alla periferia sia in una sfera nascosta e segreta. Si pensa che il suo mondo sia quello dell’interiorità, della casa, dell’ambito domestico e, dunque, tutto ciò che dal suo interno esce e va verso l’esterno rischia di costituire una sovversione, un sovvertimento. Questo è il caso dei capelli della donna in molte tradizioni religiose. I capelli delle donne devono essere nascosti o sono considerati segno di immodestia. Ma cosa sono i capelli? Qualcosa che dall’interno del corpo esce verso l’esterno in modo più o meno selvatico e indomito. E questo qualcosa, che esce dall’interno e fuoriesce verso l’esterno, dà fastidio quando proviene dal femminile. I capelli degli uomini pongono tradizionalmente molti meno problemi nel pensiero religioso. Analogamente, la voce delle donne in molte tradizioni, come in alcune eredità del pensiero talmudico, è considerata immodesta. Nel Talmud c’è una frase che dice che la voce delle donne è una nudità. Cos’è la voce? Come i capelli, seppure in modo diverso, la voce esce dalla profondità verso l’esterno. E poiché il femminile è spesso associato al mondo dell’interiorità, deve restare all’interno del corpo, della casa, del gruppo, del focolare. Va addomesticato per impedire che esca al di fuori. Tutto questo è tradotto e descritto in molte tradizioni religiose, ma non solo. Pensiamo a tutte le storie che raccontiamo ai bambini. Oggi le storie diventano spesso cartoni animati, come quelli di Walt Disney. Pensiamo agli scenari di racconti tradizionali portati sullo schermo, come Raperonzolo, le principesse nei castelli o La Sirenetta, che può cantare nelle profondità dell’oceano ed è un ottimo esempio. È un pesce nell’acqua e si evolve in un mondo femminile ma, non appena deve uscire all’esterno e avventurarsi fuori dalle profondità della sfera oscura e nascosta dell’acqua, immediatamente perde la voce e diventa muta. Non potrebbe esserci logos migliore del femminile all’esterno. Questa è una metafora, un’allegoria molto classica di molti pensieri tradizionali religiosi. Anche Raperonzolo con i suoi capelli lunghissimi è un ottimo esempio. È intrappolata in un castello, un palazzo o una prigione, non è chiaro. L’unico legame che può avere col mondo esterno è il lancio dei suoi capelli infiniti dalla finestra. I capelli sono la chiave di un’emancipazione possibile. Nessuno la vuole tranne lei, l’eroina che vuole emanciparsi. C’è poi un altro esempio che viene da un film francese di grande successo basato su una favola. È interpretato da Catherine Deneuve che fa la parte di Pelle d’Asino. Tutte le ragazze francesi della mia generazione sono cresciute con il film Pelle d’Asino e le sue canzoni straordinarie. È la storia di una principessa chiusa in un castello che non può uscire perché la sua pelle è troppo sottile. La pelle di questa giovane nel castello è talmente sottile da essere un’unica mucosa, un elemento che non ha derma, che non ha barriera esterna. Un giorno, però, la giovane deve avventurarsi fuori dal castello per salvarsi da una minaccia che incombe su di lei. Come si avventura all’esterno? Indossando la pelle di un asino. Non occorre cercare lontano per capire che la pelle dell’asino è simbolo di una certa animalità, di virilità più in generale. Una virilità che si indossa. La favola racconta ancora la stessa storia: il femminile appartiene all’interiorità, alla mucosa, alla fragilità, alla vulnerabilità che non può avventurarsi all’esterno. Quando lo fa, è una minaccia di sovversione, di inversione del mondo. Una minaccia per sé e per il mondo intorno. Il femminile deve quindi essere coperto con una pelle, una barriera che appartiene al maschile. Si comprende bene che la sfera politica è più maschile in questa rappresentazione e, in questo modo, si garantisce che la sfera domestica resti del tutto femminile. Ritorna un problema di frontiera che non è del tutto estraneo a ciò di cui parlavamo prima. La paura della contaminazione, la paura dell’impurità. In realtà i gruppi che cercano di tenere le donne all’interno esprimono così un’angoscia molto tradizionale: la paura della contaminazione, della porosità, la paura di ciò che potrebbe giungere dall’esterno e contaminare il gruppo. È su questo che spesso si fonda la nozione del pudore. L’enfasi molto forte che si pone sul pudore delle donne nelle società tradizionali ha spesso a che fare con la loro rappresentazione come esseri un po’ più porosi, esseri mucosi, che hanno un po’ meno derma e barriere rispetto agli altri, agli uomini. Nel mio libro analizzo la traduzione dall’ebraico di un termine che talvolta nella Bibbia si trova come 'nudità' e che è sistematicamente associato al femminile. In moltissimi passaggi della Bibbia vediamo che la donna è ripresa per la sua nudità. È sempre un po’ più nuda, pur con la stessa anatomia. Mentre un uomo può mostrare il braccio, la coscia, la gamba senza che questo rappresenti un problema di tentazione o nudità, quando si tratta del corpo della donna si pone immediatamente un problema di immodestia. Nella Bibbia si dice ervah. Un problema di nudità. Ma se si cerca la traduzione esatta del termine ervah, se si analizza l’origine, l’etimologia e le altre occorrenze del termine in molti passaggi della Bibbia, si scopre che ervah, tradotto nudità, significa più esattamente capacità di secernere, ossia di far colare un liquido da un luogo a un altro. Si capisce così, come elaboro più ampiamente nel libro, che il femminile è sempre sospettato di essere un po’ fluido, di non avere un carattere ermetico e di essere un po’ troppo aperto, permeabile al pericolo, alla contaminazione, a un incontro con un’alterità che potrebbe alterarci e rovinarci. Non so se funziona anche in italiano, ma in francese la parola 'alterare' è affascinante. Significa 'rovinare', 'sciupare', ma nella radice del termine alter si intende chiaramente l’alterità, l’Altro. Alterare significa credere di essere sciupato o rovinato dall’incontro con l’alterità, con l’Altro. Spesso tenere il femminile all’interno della sfera domestica e del gruppo significa tenere a distanza o cercare di liberarsi della paura della contaminazione tentando di proteggere i confini. I confini della famiglia o del gruppo. Qualcuno potrebbe pensare che si stia esagerando e che in realtà nei testi ci siano tante donne con ruoli straordinari. Spesso, quando si pensa al femminile e alla Bibbia, citiamo eroine che hanno cambiato la storia e che hanno segnato le nostre letture. Citiamo personaggi chiave come le matriarche Sara, Lea, Rebecca, Rachele. Profetesse come Miriam o donne come Rut e Ester. Nella tradizione cristiana si cita certamente Maria. Tutte donne che hanno cambiato la storia. Ed è vero: le donne hanno un ruolo molto rilevante nella letteratura biblica. Ma bisogna sempre riuscire a percepire, nel loro modo di cambiare la storia nella Bibbia, come procedono. Nella maggior parte dei casi agiscono sotto travestimento, con uno stratagemma. Non posseggono mai un potere politico o un potere d’azione a loro accordato. Devono trovare una via verso un potere d’azione utilizzando i soli strumenti che hanno: lo stratagemma, una forma di manipolazione o di seduzione. Si possono fare moltissimi esempi. Rebecca ad esempio manipola i figli e il marito Isacco per decidere chi sarà l’erede della storia. Potrei citare Rut che seduce Booz per avere una discendenza, che sarà poi la stirpe del Messia. Potremmo citare ancora altri personaggi. C’è un personaggio biblico che amo molto e che si chiama Tamar. Tamar è la nuora di Giuda ed è vedova. Aspetta che il suocero le dia un fidanzato per avere una discendenza, avere dei figli. Ma poiché il suocero la rinnega, si traveste da prostituta per sedurlo. C’è una forma incredibile di trasgressione nel testo ed è con i figli di Giuda e Tamar che inizia la stirpe messianica, la stirpe della salvezza e della redenzione. Potremmo moltiplicare gli esempi di personaggi biblici femminili che cambiano il corso della storia, che permettono alla storia di continuare di fronte a una minaccia di sterilità o a una minaccia macabra sul prosieguo del racconto. Emerge un personaggio femminile che cambia il mondo e la storia ma può farlo solo agendo con un trabocchetto, un travestimento, una manipolazione che è l’unico potere di cui potevano disporre le donne.