Perché noIsrael: «Si confonde il simbolo astratto con la realtà concreta»Si rassegni Giorgio Allulli. Non ho bisogno di documentarmi per sapere quel che mi dice la metodologia della scienza: le qualità non si misurano, tutt’al più se ne può dare un giudizio tradotto in indicatori numerici. È quel che faccio quando assegno un voto: di certo, non misuro assolutamente nulla. Non misuro neppure se dico che il mare ha forza 8, figuriamoci se posso misurare la conoscenza, la vivacità, la competenza, l’intelligenza e tutto ciò che uno studente mette in opera in una prova d’esame. Sono concetti che non ammettono una definizione oggettiva e tantomeno possiedono un’unità di misura. E dove non c’è unità di misura non c’è misurazione. Non è solo questione di divergenze di giudizi, è l’oggetto stesso che si ribella a una definizione univoca. Per esempio, si può fare una statistica e rilevare che la maggioranza ritiene che A sia più bello di B, il che ha qualche interesse; ma chi pensa che B è più bello di A non si troverà mai nella condizione insostenibile di chi pretenda che una formica è più alta di un elefante. La definizione di qualità di Allulli (ed è singolare cercare definizioni formali di un concetto che è al centro della riflessione filosofica da secoli) riconduce al concetto di utilità. Consiglio di leggere la celebre corrispondenza tra Henri Poincaré e Léon Walras in cui il primo spiega perché l’utilità non è misurabile (e il secondo concorda). Come non è vero che l’utilità è misurabile, non è vero che ogni giorno misuriamo qualità: ne diamo valutazioni soggettive, come quelle circa la mia serenità e pacatezza. Ciò detto, è ragionevole perseguire valutazioni il più possibile concordi e accettate. Ma questo non si fa perseguendo la pretesa illusoria di costruire una metodica della valutazione sul modello delle scienze esatte. La valutazione è un processo culturale e sociale che non può essere astratto dai contenuti. Solo attraverso il confronto culturale e di merito si realizza un processo di valutazione con un elevato grado di accettazione e di fondatezza. Apprezzo il sistema delle ispezioni purché basato su giudizi di merito. Ritengo delicato l’uso dei test e assurdo l’uso di parametri come gli abbandoni che finiscono col premiare il lassismo. Conosco il sistema Ofsted ma non ritengo una buona idea lodarlo indipendentemen-te dal fatto che gli studenti inglesi hanno livelli di preparazione disastrosi. Come ha osservato Cesare Segre, le valutazioni debbono essere fatte dai competenti. Aggiungo io, con un sistema di controlli incrociati che stimoli un processo complessivo di confronto. Trovo preoccupante l’emergere di una corporazione di "valutatori" che manifesta una tendenza all’autoreferenzialità di cui è sintomo la reazione aspra quando qualcuno osa metterne in discussione la dottrina. È bene che anche i valutatori accettino di essere valutati. Non sono il solo a considerare con estrema perplessità la prospettiva di mettere la scuola in mano a chi ritiene che esista una scienza della misurazione delle qualità. Consiglio di leggere l’articolo Vite a punti ("Corriere della Sera" del 7 marzo) per rendersi conto di quanta insofferenza e degrado culturale stia creando l’ossessione numerologica.
Perché noIsrael: «Si confonde il simbolo astratto con la realtà concreta»Si rassegni Giorgio Allulli. Non ho bisogno di documentarmi per sapere quel che mi dice la metodologia della scienza: le qualità non si misurano, tutt’al più se ne può dare un giudizio tradotto in indicatori numerici. È quel che faccio quando assegno un voto: di certo, non misuro assolutamente nulla. Non misuro neppure se dico che il mare ha forza 8, figuriamoci se posso misurare la conoscenza, la vivacità, la competenza, l’intelligenza e tutto ciò che uno studente mette in opera in una prova d’esame. Sono concetti che non ammettono una definizione oggettiva e tantomeno possiedono un’unità di misura. E dove non c’è unità di misura non c’è misurazione. Non è solo questione di divergenze di giudizi, è l’oggetto stesso che si ribella a una definizione univoca. Per esempio, si può fare una statistica e rilevare che la maggioranza ritiene che A sia più bello di B, il che ha qualche interesse; ma chi pensa che B è più bello di A non si troverà mai nella condizione insostenibile di chi pretenda che una formica è più alta di un elefante. La definizione di qualità di Allulli (ed è singolare cercare definizioni formali di un concetto che è al centro della riflessione filosofica da secoli) riconduce al concetto di utilità. Consiglio di leggere la celebre corrispondenza tra Henri Poincaré e Léon Walras in cui il primo spiega perché l’utilità non è misurabile (e il secondo concorda). Come non è vero che l’utilità è misurabile, non è vero che ogni giorno misuriamo qualità: ne diamo valutazioni soggettive, come quelle circa la mia serenità e pacatezza. Ciò detto, è ragionevole perseguire valutazioni il più possibile concordi e accettate. Ma questo non si fa perseguendo la pretesa illusoria di costruire una metodica della valutazione sul modello delle scienze esatte. La valutazione è un processo culturale e sociale che non può essere astratto dai contenuti. Solo attraverso il confronto culturale e di merito si realizza un processo di valutazione con un elevato grado di accettazione e di fondatezza. Apprezzo il sistema delle ispezioni purché basato su giudizi di merito. Ritengo delicato l’uso dei test e assurdo l’uso di parametri come gli abbandoni che finiscono col premiare il lassismo. Conosco il sistema Ofsted ma non ritengo una buona idea lodarlo indipendentemen-te dal fatto che gli studenti inglesi hanno livelli di preparazione disastrosi. Come ha osservato Cesare Segre, le valutazioni debbono essere fatte dai competenti. Aggiungo io, con un sistema di controlli incrociati che stimoli un processo complessivo di confronto. Trovo preoccupante l’emergere di una corporazione di "valutatori" che manifesta una tendenza all’autoreferenzialità di cui è sintomo la reazione aspra quando qualcuno osa metterne in discussione la dottrina. È bene che anche i valutatori accettino di essere valutati. Non sono il solo a considerare con estrema perplessità la prospettiva di mettere la scuola in mano a chi ritiene che esista una scienza della misurazione delle qualità. Consiglio di leggere l’articolo Vite a punti ("Corriere della Sera" del 7 marzo) per rendersi conto di quanta insofferenza e degrado culturale stia creando l’ossessione numerologica.
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