sabato 15 marzo 2025
Lo studioso analizza la cultura del santo e il suo rapporto sponsale con madonna Povertà. «Non aveva una formazione ecclesiastica, ma basata sui trattati medievali, i trovatori e il ciclo su re Artù»
Caravaggio, "San Francesco in meditazione", 1605

Caravaggio, "San Francesco in meditazione", 1605 - Web

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Franco Cardini, Firenze 1940. Dopo aver tenuto la cattedra di Storia medievale all’Università di Firenze è oggi ordinario di Storia medievale presso l’Istituto di Scienze umane e sociali (aggregato della Scuola Normale superiore di Pisa) e Directeur d’études all’Ecole des Hautes etudes en Science sociales di Parigi. È esperto italiano di crociate e pellegrinaggi, ed è considerato all’estero come uno dei massimi storici ed intellettuali italiani. Il suo libro L’avventura di un povero cavaliere del Cristo. Frate Francesco, Dante, madonna Povertà, uscito nel 2023 per Laterza, ha ottenuto grande successo di critica e di pubblico.

Uno dei temi su cui lei ha insistito di più nel corso della sua attività di studioso di storia francescana è quello delle nozze tra Francesco d’Assisi e madonna Povertà. Da dove nasce questa splendida immagine?

«La “vidi” da ragazzino, nell’XI canto del Paradiso: ne rimasi folgorato! Trovai in questa immagine tutte le virtù che più mi facevano palpitare: il coraggio, il servizio d’amore, la cavalleria e la militia Christi... da studioso ho poi scoperto la fonte di Dante, il libello di un anonimo frate francescano del Duecento, il Sacrum commercium beati Francisci cum domina Paupertate, Il sacro intrattenimento di Francesco con madonna Povertà, un testo che spiega quale confinata dose di coraggio e quale fede granitica furono necessarie a Francesco per conquistare la sua dama».

Lei ha anche insistito su un Francesco intriso di cultura cortese e cavalleresca. Lo attestano i suoi compagni più stretti: Francesco usava l’immagine dei cavalieri della Tavola rotonda per riferirsi a se stesso e ai suoi e trasmise infatti il lessico cortese - inusuale per i religiosi dell’epoca – anche ai frati del suo Ordine. L’autore del Sacrum commercium ne è un esempio eloquente, parla infatti delle nozze tra un cavaliere e la sua dama. Può declinare quali testi Francesco deve aver letto o ascoltato?

«Spesso si è parlato di un Francesco senza cultura, ma quella che Francesco non ha, al momento della conversione, è la cultura ecclesiastica, quella cioè che s’insegnava ai monaci novizi o agli aspiranti sacerdoti. Francesco arriva tardi alla vocazione religiosa, all’età di 25 anni, prima sogna di divenire un gran cavaliere! Era stato mercante, aveva combattuto a Collestrada, si era fatto più di un anno di carcere a Perugia, aveva a lungo viaggiato con il padre, forse in Francia, quantomeno i suoi compagni attestano che conosceva il gallicum. La Francia all’epoca era all’avanguardia per ciò che concerneva la cultura laica: era già la Francia del ciclo carolingio e arturiano, dei trovieri e dei trovatori che spandevano le loro storie ovunque. Il grande filologo Pio Rajna sostenne con forza - e io sono d’accordo con lui – che Francesco arrivò alla conversione nutrito di quella cultura lì, gallica e cortese. Dietro alle sue laudi, il padre Pierre Péteul ravvisò pure il riverbero degli scritti di una donna, Maria di Francia, e Arnaldo Fortini del trattato sull’amore di Andrea Cappellano... insomma, siamo nell’epicentro della rivoluzione cortese, potremmo dire che “le donne, i cavallier, l’arme e gli amori” siano stati il “seminario” di Francesco».

Francesco fu il primo a recepire l’idea forte che stava dietro alla loro opere? L’idea di un amore nuovo, cristiano per definizione, in cui l’amato e l’amata devono essere considerati per quel che sono: i nostri prossimi più prossimi, quelli che Gesù diceva dobbiamo amare come noi stessi e perdonare 77 volte sette...

«L’idea di amore che Maria di Francia, Andrea Cappellano e l’altro grande della letteratura cortese, Chrétien de Troyes, volevano insegnare non fu sempre compresa per quello che era. Si trattava, come lei dice, di un amore di grado eroico, anche se chiaramente l’espressione è tautologica, perché l’amore non può che essere eroico: un amore che non tiene contabilità del donato, non pretende il contraccambio o non considera l’amato o l’amata come una proprietà... il matrimonio all’epoca era, al contrario, un’unione di convenienza, quasi sempre per unire casate e suggellare alleanze economiche o politico-militari. Anche oggi si scelgono con più facilità le “nozze” convenienti, per le ragioni più disparate, anche solo per un ritorno d’immagine... L’amore di Francesco per madonna Povertà, al contrario, reca semmai a Francesco un danno d’immagine, come si vede nella volta giottesca della basilica inferiore di Assisi: Cristo in persona li unisce in matrimonio, ma dei ragazzini, che assistono alla scena, lanciano alla sposa pietre, le aizzano i cani, la minacciano con i bastoni. La sposa dalla veste lacera, evidentemente, “non piace”, perché certo non rientra “nel numero delle trenta” più belle donne della città... Francesco, però, la sceglie riconoscendo in lei un’assoluta grazia».

Come si arrivò dalla realtà storica di un Francesco laico e di formazione cavalleresco-cortese a una sua rappresentazione in veste di asceta che lotta contro la carne?

«Francesco è volle rimanere laico fino alla morte, non volle cioè divenire prete. Questa sua laicità - culturale prima ancora che statutaria - fu testimoniata soprattutto dagli autori che potremmo definire come i “meno allineati” rispetto alla progressiva clericalizzazione che l’Ordine subì dopo la morte del fondatore. Il Francesco laico, il cavaliere, il giullare cortese della Legenda dei Tre Compagni, del Sacrum commercium, della Compilazione di Assisi, delle pericopi egidiane dei Fioretti, del Memoriale di Tommaso da Celano, viene cancellato dall’imposizione di un’unica leggenda, la Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio. Bonaventura, al contrario di Francesco, è il sacerdote per antonomasia: entrato da ragazzino nell’istituzione ecclesiastica, segue il cursus canonico della formazione clericale fino ad arrivare ai suoi più alti gradi, conquistando il cardinalato e la docenza in Teologia... forse più che descrivere Francesco ha immaginato un santo a sua immagine».

Potremmo dire che inizialmente Francesco incontri le tracce di Gesù su una via laterale, quella del mito arturiano della Tavola Rotonda? Si tratta in fondo di un gioco di rimandi: il cenacolo di Artù imitava quello del Nazareno, il giovane Francesco s’innamora dei paladini di Artù, scorgendo in filigrana il modello che vi si staglia dietro: il gruppo degli apostoli del Vangelo.

«Il punto di arrivo della prospettiva cristica del mito dei cavalieri della Tavola rotonda è la Queste del Saint Graal, in cui Galaad è l’alter Christus e i suoi cavalieri si rivelano davvero come i dodici apostoli. Peccato non si possa ipotizzare che Francesco conoscesse quest’opera che è più o meno contemporanea alla sua morte... C’è in ogni caso, e senza dubbio, un’idea cristianissima alla base della letteratura cortese, anche se i primi cortesi non vogliono più negare – come aveva fatto la cultura cristiana dei secoli precedenti - le pulsioni dell’eros. Insomma un amore cristiano sì, ma non angelicato... lei queste cose le sa, per averle sostenute nel suo libro su Maria di Francia: l’amore dei cortesi era fatto anche di “baci, saliva e sudore”».

Perché la cultura ecclesiastica ha sempre cercato di castigare il corpo? Perché tanta paura dell’amore fisico?

«I preti fanno il loro mestiere, cercano di indicare ai fedeli la strada. L’Occidente ha troppo spesso mitizzato il valore della libertà, ma la libertà assoluta è un rischio e soprattutto un peso, deve essere gestita, tutto il contrario di ciò che si crede. Libertà non è “il rompere le righe”, necessita di disciplina, di sacrificio, di conoscenza... i preti nutrono il ragionevole dubbio che nella routine quotidiana i laici non siano in grado di restare in sella al cavallo imbizzarrito delle libertà, così esercitano il loro ruolo di pastori, intimando loro di tenersi alla larga dalla bufera dell’eros».

Oggi, però, con papa Bergoglio la grammatica clericale sta cambiando, non crede? Il papa ha sostenuto che i peccati dell’eros e della carne sono i meno gravi. Ha addirittura detto che a lui “fanno schifo” i sacerdoti che in confessione cercano quel tipo di peccati. Forse Bergoglio vuole dire che anche il sesso è calore, prossimità, ricerca di contatto con l’altro, e quindi merita maggiore considerazione?

«Credo che proprio come il santo da cui ha voluto prendere il nome, Bergoglio consideri l’eros per ciò che esso è: una fiamma che, se ben indirizzata, può aiutare a compiere le grandi imprese di Dio. Proprio quello che pensavano i cortesi! Potrei sommessamente aggiungere che nella cultura di papa Bergoglio sia rimasta più di qualche traccia della sua giovanile impronta “tanguera”!».

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