Uno dei dipinti di Gian Maria Tosatti esposti all’Hangar Bicocca - -
Appena reduce dal titanico lavoro alla Biennale di Venezia, Gian Maria Tosatti affronta un’altra grande mostra all’Hangar Bicocca di Milano. Un lavoro molto diverso, questa volta, e sempre un po’ misterioso a cominciare dal titolo: “NOw/here” (fino al 30 luglio). Chi conosce l’inglese – Tosatti ha vissuto dieci anni a New York – intuirà la stratificazione di significati e allusioni. Si entra nello Shed, uno dei tre immensi spazi dell’Hangar e viene voglia di tacere, di raccogliersi in silenzio meditativo. Enormi dipinti pendono dovunque si guardi. Dipinti, sì. Abituati come siamo alle vaste installazioni ambientali dell’artista, questa dimensione sembra inedita, insolita e forse un po’ riduttiva. Ma basta muoversi nella sala, in silenzio, per recuperare l’idea di vastità, enfatizzata dalla sapiente illuminazione che disegna dei trapezi di luce sul pavimento come tappeto dei quadri. Questi li ho visti fare nello studio napoletano di Gian Maria. Grandi tele pazientemente ricoperte di tratti a grafite andavano creando uno spazio nuovo, vuoto eppure incombente. Alcuni cerchietti bianchi aiutano a non vederlo come superficie indifferente e una sorta di linea di orizzonte che separa due zone di diversa intensità cromatica ti dà l’idea dello spazio, del mondo, non voglio dire del paesaggio. Questo è il ciclo propriamente chiamato NOw/here. E sì, un nonspazio. Si fatica a trovare le parole, ed è proprio questo il marchio dell’arte vera, che è irriducibile al linguaggio verbale, parla per se stessa e se non parla è un fallimento. C’è in giro una critica che vuole spiegare tutto, costringerti a pensare in un certo modo. Bisogna rifiutarsi. L’altra serie di quadri si possono chiamare dipinti solo in senso lato, perché si tratta di piastre di ferro arricchite con macchie di foglia d’oro e matericamente arrugginite nel resto della superficie. La ruggine crea forme autonome che si espandono come un magma e non si sa se questa tende a coprire la purezza dell’oro o, al contrario, è l’oro che guadagna terreno faticosamente all’ossidazione. Il colpo d’occhio è formidabile e la luce bassa della sala lo rende ancor più imperscrutabile. Come indecifrabile è il titolo dato alla serie: Ritratti. Ritratti di chi o di cosa? Ecco una domanda che piace al critici parolai. Io preferisco tenermela e basta. Non importa. Qualcuno dirà che il “trucco” della ruggine è un dejà vu. E con questo? Il mezzo rimane un mezzo, quel che bisogna valutare è la risposta che crea in me spettatore. Un Tosatti diverso. Lui in qualche modo lo nega, asserendo che questi lavori sono il distillato di un vissuto, di tante esperienze, anche estetiche, di tanto lavoro portato avanti negli ultimi vent’anni. E questo, anche se uno non conoscesse nulla dell’artista, questo si percepisce nella maturità, nella pacatezza dell’opera. Hangar Bicocca è sempre una difficile sfida. Vicente Todolì, direttore e curatore della mostra, ci ha creduto e ha vinto la scommessa.