Claudia Losi, “Les Funérailles de la Baleine”, Fondo Bruno, Cossila San Giovanni (Biella), 2010 - Opera esposta a Bagnacavallo fino all’8 dicembre nella mostra “Il Rituale del serpente. Animali, simboli e trasformazioni”
I vivi e i morti (1923) del siciliano Giuseppe Antonio Borgese sollevava sin dal titolo a un livello di incandescenza metafisica le problematiche storiche e generazionali del concitato romanzo del conterraneo Luigi Pirandello apparso in volume dieci anni prima e cioè I vecchi e i giovani. Ma I vivi e i morti è anche il titolo che, nel 2018, Andrea Gentile ha scelto, con un’ulteriore accelerazione in direzione dell’invisibile, per il secondo libro della sua combusta trilogia ambientata a Masserie di Cristo, frazione di San Pietro Avellana in provincia di Isernia, la città dove lo scrittore è nato: progetto iniziato con L’impero familiare delle tenebre future (2012) e che approda ora alla sua conclusione con Tramontare (Minimum Fax, pagine 224, euro 16,00). Occorrerà aggiungere che, esattamente un anno fa, è apparso per i tipi di Nottetempo il singolare saggio per lemmi (49 lemmi, da Bambino a Silenzio) intitolato Apparizioni, ove significativamente si legge: «Che cos’è un’apparizione? Tutto appare: viene alla luce». Definizione che – sia detto per inciso – potrebbe già valere come una prima approssimazione a questo narratore ipnotico il quale, a volte, dà l’impressione di scrivere in stato di trance e come concentrato nel tentativo estremo di espugnazione della fortezza notturna del senso: apparizioni fantasmatiche, in effetti, sono i suoi personaggi, mentre la realtà, quella che si percepisce col solido concorso dei sensi, viene continuamente sospinta sino ai limiti dell’allucinazione, quando è vero che, appunto, la vista travalica di continuo in visione: «Mi chiedo quale sia, nel ricordo, la soglia tra ciò che è accaduto e cosa è ricordato». Con un impegno sulla lingua che è quello di sottoporla a continua pressione distorsiva. Per dire: “Tramontare” non è soltanto il verbo che tutti conosciamo, ma il nome della protagonista del romanzo. E poi: che cosa significherà di preciso «Se era impossibile fermare le lacrime di Tramontare, l’unica possibilità era cambiare il centro del pianto»? Ma andiamo con ordine. Ancora Apparizioni: «La vita si manifesta su un oceano di morte«. Sarà per questo, allora, che tutti i personaggi della saga di Gentile si qualificano innanzi tutto – mettiamola così: proprio in termini heideggeriani – dentro un «vivere per la morte ». E il personaggio di Tramontare più di tutti gli altri, se è vero che, all’inizio, è una bambina che piange continuamente perché ha paura della morte. Un pianto estenuante, tanto che i genitori (che non si parlano), a un certo punto, la distendono in un carrozzino e la lasciano fuori casa in una notte di pioggia. Così facendo le imporranno un destino: «Da quel giorno Tramontare non ebbe più paura della morte. Da quel giorno Tramontare pensò di essere lei stessa la morte». Quella mor- te che, precocissimamente, la priva della sorella: per la quale si solleveranno «statue» e si promuoveranno «processioni in suo onore», mentre il libro si strutturerà in due parti, dominate dalla stessa voce, quella di Tramontare, rappresentata prima come bambina, poi come anziana. Con la precisazione che lo sguardo, divaricato tra puerizia e senilità, consente allo scrittore di collaudare ancora una volta due decisive disposizioni della storia del romanzo: quella del “mare dell’oggettività”, seppure si tratti d’un mondo in frantumi (nella prima parte), e l’altra d’una sempre più debordante analisi di coscienza (nella seconda). Romanzo lirico? Certamente. Ma soltanto perché il discorso poetico entro cui la narrazione si brucia resta il modo migliore, seppure il più difficile, per onorare i simboli e la loro vocazione a penetrare tanto recto che il verso della realtà: non per niente non esistono i nomi propri (su tutti spicca l’invenzione del “Bambino Nitido”): di modo che la connotazione vinca sempre sulla denotazione. Sentite qua, nel capitolo che presta il titolo al romanzo: «In piena notte vado in piazza e la piazza è deserta. Tutti assenti. Masserie di Cristo è tutta stelle e solennità, il sole sembra assente da sempre. Assomigliamo a un quadro di un secolo lontano, siamo tutti di cartapesta, siamo un presepio senza religione». Già: un presepio senza religione. E dentro un tempo che simula il sacro, ma ne ha smarrito completamente il significato. A questo punto una domanda s’impone: soprattutto in relazione a un narratore massimalista che, perentoriamente, rifiuta ogni idea di facile commestibilità del romanzo considerato invece prodotto d’arte e filosofia, mai di consumo: magari secondo l’idea aristocraticissima di Harold Bloom, per il quale letteratura e democrazia restano termini che reciprocamente si escludono, mentre non esiste nessun facile “piacere del testo” da perseguire, essendo la lettura faticosa e strenua acquisizione d’una bellezza e d’una verità che chiedono altissimo dazio, grandi sacrifici. Questa la domanda: cos’è la letteratura per Andrea Gentile? Ancora una volta, è Apparizioni, il suo taccuino-laboratorio, a soccorrerci. Cito dal lemma Né vivi né morti: «La letteratura vive negli spazi indefiniti, nei luoghi dove non giunge la parola, negli spazi ignoti generati dal poetico». E poi: «La parola ci porta oltre la parola, nell’indicibile». Del resto, nella voce Cosa accade mentre scrivo Gentile l’aveva espresso in modo molto chiaro: «La scrittura combatte sempre contro se stessa, con la tentazione di non esistere». E più avanti: «L’ergastolano si infrange ogni giorno sulle sbarre. È convinto che, giorno dopo giorno, si romperanno. Quando riesce a uscirne, compie lo stesso processo all’inverso. Romperemo le sbarre per rientrare in cella». Gli scrittori, ecco il punto, sono «ergastolani per sempre», custodi (e sacerdoti) delle verità profonde e buie dell’esistenza: Gentile non ha fatto che dimostrarlo in ogni suo libro.