Il baby talento norvegese Johannes Staune-Mittet, 21 anni, fresco vincitore del Giro Next Gen
Il vento del Sud, ma anche del Nord e se è per questo anche dell’Est soffia forte sul ciclismo mondiale e quello italiano, il nostro, capace in oltre cento anni di onorata carriera di scrivere importanti pagine di storia ciclopedalatoria, ma che ultimamente fatica a vedere i traguardi. È un momento così, con il vento del Sud e del Nord, ma anche dell’Est che è una costante, neanche fossimo a Trieste, dove la Bora è di casa. Alla Slovenia dei predestinati come Tadej Pogacar e Primoz Roglic su tutti, così come l’Africa di Biniam Girmay, che sta crescendo in modo esponenziale, si sta aggiungendo la Danimarca di Jonas Vingegaard (vincitore del Tour) e la Norvegia del baby talento Staune-Mittet, fresco vincitore del Giro Next Gen, il Giro d’Italia dei ragazzi. Il primo degli italiani? Sesto Alessio Martinelli, 22 anni, valtellinese della GreenProject, di cui si dice un gran bene, ma la prudenza è d’obbligo, guai lasciarsi andare a facili entusiasmi. Una volta arrivati al professionismo, incomincia una nuova vita, si volta pagina. Proprio al Giro di Roglic si è messo in luce un altro norvegese, Andreas Leknessund: cinque giorni in maglia rosa e ottavo posto finale. Al Giro Next Gen appena concluso uno dei compagni di Staune-Mittet era l’altro norvegese Per Strand Hagenes, 19 anni: nel 2021 tra gli juniores ha vinto la Corsa della Pace e la maglia iridata nella prova in linea. «C’è una generazione di corridori forti – ha spiegato nei giorni scorsi la maglia rosa Staune-Mittet - alcuni della mia età sono già nel World Tour: non c’è un modo solo di crescere, io ho preferito così, per avere meno pressione, vedremo fra un paio di anni come sarà andata, se la mia scelta di non avere fretta è stata giusta». Intanto, il ragazzo che gravita già nella formazione di sviluppo della Jumbo-Visma, il prossimo anno farà il grande salto nella squadra A di Vingegaard, Roglic e Van Aert.
E in questo prolifico vivaio c’è un alto norvegese, il giovanissimo Jorgen Nordhagen, 18 anni, che vince alternativamente nel ciclismo ( nelle prove a cronometro è bravissimo) e nello sci di fondo. Staune-Mittet è un ragazzone di 182 centimetri, che vive ancora con i genitori e i suoi fratelli più piccoli, è nato a Lillehammer e come tanti connazionali della sua età, prima fatto i conti con lo sci di fondo, che ha praticato fino a due anni fa, quando è diventato campione norvegese juniores nella 10 chilometri tecnica classica. Al ciclismo ci è arrivato a 11-12 anni, per seguire suo fratello maggiore Andreas, che durante l’ultimo Giro d’Italia ha fatto il commentatore tecnico per un’emittente di Oslo e ha vissuto cinque giorni di gloria grazie ad Andreas Lekenssund che si è vestito di rosa. Johannes è un ottimo scalatore, ma è forte anche sul passo. Al Giro Next ha costruito il suo successo sullo Stelvio, in quella tappa nella quale il nostro movimento ha forse vissuto uno dei suoi momenti più bassi, con l’allontanamento di 24 ragazzi per traino, che anziché pedalare, hanno pensato bene di attaccarsi alle ammiraglie o a qualche moto. Se Knut Knudsen è stato il primo norvegese ha farsi strada nel mondo del professionismo, dopo di lui sono arrivati Hushovd e Kristoff, Arvesen e Boasson Hagen, Bystrom e ora Leknessund, anche se nel futuro prossimo venturo ci sono chiaramente Staune-Mittet e Hagenes, tutti corridori della “cantera” della Jumbo-Visma.
Ma perché il ciclismo italiano fatica tanto? « Perché correte troppo e volete far fare ai ragazzi una attività professionistica sin dalla categoria juniores (1718 anni) e forse anche prima – ci spiega Valerio Piva, italianissimo ma da quarant’anni residente in Belgio, nonché tecnico di lungo corso alla Intermarché -. Da noi in Belgio non esistono strutture dilettantistiche che ti pagano uno stipendio mensile: ti danno una bicicletta, una maglia, un casco e vai a correre. I team ti forniscono l’assistenza, i tecnici e tutta una serie di informazioni e bagaglio di conoscenze che serve per crescere e la garanzia di svolgere in giro per il mondo attività di alto livello: la priorità è imparare, non vincere le corse. In Italia è esattamente il contrario. In Italia la parola d’ordine è vincere, da noi programmazione e preparazione. In Italia i talenti ci sono ancora, ma spesso li perdiamo. Noi abbiamo preso Francesco Busatto: è un talento, è un ragazzo al quale mancava soltanto qualcuno che gli insegnasse questo lavoro. Abbiamo preso anche Lorenzo Rota: per poco da voi lo facevano smettere di correre, da noi è rinato».