mercoledì 21 agosto 2019
Il 21enne coreano nella storia: è il primo giocatore non udente ad aver vinto un incontro Atp: «Mi prendevano in giro per la mia disabilità ma chi non si scoraggia è capace di fare qualsiasi cosa»
Il tennista coreano Duck-hee Lee, 21 anni / Ansa/Ap

Il tennista coreano Duck-hee Lee, 21 anni / Ansa/Ap

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Possiamo solo immaginare quante difficoltà abbia dovuto affrontare un fuoriclasse della musica come Ludwig van Beethoven quando diventò sordo. Eppure non si perse d’animo e se all’inizio si vergognava ad ammettere in pubblico questa imperfezione, fu proprio quando accettò il suo limite che riuscì ad esprimere tutto il suo talento. Una strada ancor più in salita ha dovuto affrontare il coreano Duck-hee Lee al quale la sordità è stata diagnosticata all’età di due anni. Ma ciò non gli impedisce di “suonare” meraviglie con il suo strumento preferito: la racchetta. Il giovane 21enne è da ieri nella storia come primo tennista non udente a conquistare un incontro Atp. È successo al torneo di Winston-Salem, negli Stati Uniti, in cui l’asiatico ha battuto (7-6, 6-1) lo svizzero Henri Laaksonen. A fine match Lee ha confidato la montagna che ha dovuto scalare: «La gente mi prendeva in giro per la mia disabilità, mi dicevano che non avrei dovuto giocare, è stato davvero difficile, ma i miei amici e la mia famiglia mi hanno aiutato ad andare avanti, volevo mostrare a tutti che potevo farlo».

Sono queste le note felici di un ragazzo che non si è mai arreso. Da piccolo ha frequentato un istituto per disabili al mattino e una scuola per normodotati al pomeriggio. Ai suoi genitori infatti premeva renderlo indipendente senza mai farlo sentire separato dal mondo. E lui sulle orme di un cugino si è innamorato del tennis quando aveva 7 anni. Ha smentito subito tutti gli scettici portando a casa ben otto titoli a livello giovanile. Oggi si trova al 212esimo posto della classifica Atp ma è stato anche numero 130 nell’aprile 2017. In un mondo che abortisce le imperfezioni la favola di Lee ci impone di far tesoro dei nostri limiti, che, come nel suo caso, possono addirittura diventare punti di forza: «Non riesco a sentire bene quasi nulla. Solo le urla delle persone o le trombe. Non sento il rumore della pallina né quando i giudici di linea chiamano l’out. Mi concentro prevalentemente sui gesti del mio avversario». Paradossalmente non essere in grado di sentire gli consente di concentrarsi sul suo gioco e di leggere nella mente degli avversari.

Una dote che gli riconoscono anche molti dei suoi affermati colleghi: «Se dovessi giocare con le cuffie - spiega Andy Murray - sarebbe incredibilmente difficile aumentare la velocità della palla, lo spin che esce dalla racchetta. Noi tennisti usiamo molto le nostre orecchie per raccogliere informazioni. È ovviamente un enorme svantaggio, quindi essere in grado di fare ciò che sta facendo è un enorme sforzo ». E anche un altro ex numero 1, l’americano Andy Roddick conferma: «Lee è fenomenale, perché ascoltare la palla, che produce un suono diverso a seconda che sia colpita piatta, in slice o in back o in top, fa parte integrante del processo di reazione». E lo statunitense Tennys Sandgren ammette: «Impari tanto su come il tuo avversario colpisce la palla in base al suono del tiro. Se non riesci a sentirlo devi avere abilità folli e un talento folle». Ma attenzione a farne un eroe, Lee vuole solo lanciare un messaggio: «A chi è sordo come me voglio dire di non scoraggiarsi: se si vuole, si può fare qualsiasi cosa». È allora lo spartito vincente di questo ragazzo a ricordarci quali insospettabili doni ci siano stati fatti. Una sinfonia che non ammette però alcun pietismo: «Non voglio compassione. Né essere trattato come un giocatore diverso. Sono un professionista del tennis. Punto».

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