venerdì 22 gennaio 2021
«2095. Erano passati anni da quella che veniva ricordata come la “grande pandemia. L’umanità intera, impaurita, si era ritirata per difendersi nelle proprie case e lentamente si era adattata...»
Monica Guerritore

Monica Guerritore - Ansa/Daniel Dal Zennaro

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2095. Erano passati anni da quella che veniva ricordata come la “grande pandemia”. L’umanità intera, impaurita, si era ritirata per difendersi nelle proprie case e lentamente si era adattata a un mondo connesso ma privo di calore e di colore. Gli uomini si abituarono nel tempo a confini ben definiti ingegnandosi per rendere quello che restava delle loro vite confortevoli avevano creato ampi spazi delineati da pannelli trasparenti che modulandosi a seconda delle necessità, mutavano di volta in volta gli spazi interni. I grandi condomini erano protetti da bolle di leggerissimo vetro naturale fotocromatico che animato da una propria intelligenza artificiale riusciva, variando la densità della materia e la sua trasparenza, a mettere uomini e donne al riparo dai potenti cicli di raggi Uva, restrizione che l’Autorità imponeva come unica difesa contro il terribile virus che aveva quasi condotto l’umanità all’estinzione.

La Nakagin Capsule Tower a Tokyo

La Nakagin Capsule Tower a Tokyo - WikiCommons

La vita sociale era demandata all’intero sistema digitale delle connessioni che correva lungo le pareti a cristalli liquidi e così le vite personali, familiari e relazionali sbocciavano nella visione ma raramente nella conoscenza. Tutto era condiviso e pubblico, niente era personale. Uomini e donne comunicavano tra loro usando codici, movimenti, segni segreti, nel tentativo di inventare schemi per proteggere una privacy che non esisteva più. Gli amori, le simpatie, le attrazioni riuscivano ancora a fare breccia in quella realtà virtuale, ma le immagini care non avevano tempo per generare sentimenti: lo spazio veniva subito occupato da un flusso ininterrotto di notizie, commenti, visi e voci sempre più numerosi e sempre più alieni

Ci fu un anno, si dice fosse il 2074, in cui avvenne una grande sommossa. Le persone tentarono di mettere voce in capitolo, di condividere le decisioni e allentare le restrizioni. Si dice che molti per sfidare i divieti invasero le piazze e morirono devastati dalle bruciature provocate proprio da ciò che avrebbe dovuto difenderli: gli Uva potenziati. L’Autorità era però corsa ai ripari, allargato le maglie di poco permettendo le uscite e gli incontri solo dopo aver rilevato la non pericolosità delle radiazioni e solo per un certo numero di ore. Nascevano pochissimi bambini. E alcuni di loro sparivano. Le Madri chiedevano notizie, li cercavano disperate sfidando i divieti, inoltrandosi in zone che erano ormai interdette, ma gli agenti dell’Autorità le catturavano e le riportavano nelle loro case. «Ordine superiore», dicevano. E nulla più. Un giorno di quel futuro distopico gli scienziati del-l’Infn del Gran Sasso, che monitoravano le sempre più preoccupanti macchie solari, allertarono le massime autorità politiche e finanziarie.

Un’esplosione solare tra le più estreme aveva creato un anello di fuoco attorno alla stella cono- sciuto come “coronal mass ejection”. Una sfera di fuoco si stava per staccare dal Sole e viaggiando a un milione di chilometri al secondo verso la Terra, avrebbe provocato una tempesta magnetica di inaudita potenza, cancellando ogni dato su qualunque supporto e interrompendo per sempre tutti i sistemi di comunicazione. Fu diramato l’allarme. I sistemi digitali, collegati a potenti telescopi, mandarono in tutti gli hub planetari , davanti a popolazioni incredule, immagini del sole, commenti di scienziati, numeri. L’anello di fuoco fu visto staccarsi dal sole delicatamente, quasi come una nuvola di sigaretta dalla bocca di un fumatore annoiato che gioca col tempo e trasformarsi in una magnifica aurora boreale che dipinse il cielo di mille colori, costringendo uomini e donne ad uscire dalle proprie abitazioni bunker. Tutta l’umanità, o quel poco che restava di lei, si ritrovò col naso all’insù ad osservare quel misterioso caleidoscopio di colori.

Fu quella meraviglia a precedere la fine del mondo, così come si era imparato a conoscerlo. Anche chi non era uscito, anche i pochi bambini rimasti che fino ad allora, come api nelle arnie, avevano mosso la vita nelle case, si fermarono incantati da quelle immagini. La Terra fu colpita da una tempesta solare mai registrata in precedenza. E fu quel giorno che il mondo si spense. Le città, le strade, persino le fronde degli alberi nelle foreste, il moto del mare, tutto restò immobile immerso in una luce d’acciaio. Le case dalle pareti trasparenti, mobili e animate, ora opache e grezze, sembravano solidi che abitavano un paesaggio di nature morte.

Gli uomini e le donne si osservarono e si portarono le mani alla faccia in un gesto che avevano imparato ad usare per dire e dirsi “non so più”. Ed era vero. Terribile. Nulla era più alla loro portata. Chiusi fuori dalle loro case - senza abiti, senza viveri, senza una direzione - si strinsero in gruppi. Lo stesso giorno (così si dice), un bambino correva su per le stradine del monte Aspro verso la rocca dove un Monaco dagli occhi trasparenti gli avrebbe sentito la lezione. Stava attraversando le stradine della città delle Cento Chiese, quando con la coda dell’occhio intravide il baluginio nel cielo che indicava la tempesta magnetica.

Lui ne guardò i colori magnifici riparando gli occhi con le mani e a bocca aperta continuò il suo percorso per condividere con gli altri la sua immensa sorpresa. La gridò alla fornaia che lo zittì lanciandogli una pagnotta appena sfornata. Si affacciò allegro alla bottega di un ciabattino che non gli diede retta perché troppo impegnato a imprecare contro la luce sul tavolo che faceva le bizze «...ma che ne sapeva lui di arcobaleni». Correndo correndo, scomparve così in un cortile dalle altissime mura di pietra. Il monaco dai lunghi capelli bianchi e il viso dalle pupille trasparenti, lo stava aspettando al centro di una grande sala illuminata solo da candele e piena di giovani fanciulli, pure loro con lo sguardo fatto d’acqua.

Lo strano bellissimo monaco voltò il viso verso di lui e non lo rimproverò per l’ennesimo ritardo ma disse a lui e a tutti: «Sapevamo che questo sarebbe potuto accadere e molti di noi hanno lavorato in segreto per anni. Il mondo come si era imparato a gestirlo non esiste più, ma restano gli esseri umani e sono soli e senza strumenti. Ora tocca a voi, andate... In ogni parte del mondo altri giovani eletti come voi torneranno nelle loro case, alle loro famiglie. Il vostro e il loro compito sarà tramandare quello che hanno appreso: la Vita del Mondo dalle sue Origini, le Opere degli Uomini , la Costruzione di Cattedrali, il Pensiero Filosofico, le Scoperte Scientifiche, le Arti e i Mestieri».

Si racconta che fu allora che da quel piccolo paesino arroccato su un monte chiamato Aspro, discesero a gruppi ragazze e ragazzi. Ognuno di loro aveva un compito e un indirizzo. Tornavano là da dove erano stati portati via. Tornavano alle loro famiglie. Maria aveva smarrito il suo bambino qualche anno prima e se lo ritrovò ragazzo. Era lì davanti a lei. Aveva i capelli biondi e gli occhi chiarissimi. Lo guardò a lungo mentre sentiva dentro di sé un amore che la turbava e a cui non sapeva dare un gesto, una parola. Dopo tanti anni, nessuno sapeva più cosa volesse dire dare una forma a quello che sentiva dentro. Non ce n’era stato più bisogno. Le cose anche quelle intime erano manifeste e replicate con semplicità sempre maggiore.

Fu lui, il giovane fanciullo, che le insegnò come fare. Le si avvicinò e le mostrò un grande libro. C’erano delle raffigurazioni. C’era una giovanissima donna seduta con una veste lunga che teneva tra le braccia poggiato sul grembo il corpo esile e ferito di un uomo privo di vita. Quasi muta, guardando quel dipinto, la donna riempì gli occhi di lacrime. Come una diga a cui si alzano le paratie, respirò la sua commozione che si fece spazio dal centro del diaframma, in un posto tra stomaco e cuore. Poi, attenta, si sedette piano. E piano prese il giovane corpo del figlio che aveva davanti... e piano, ridisegnando col proprio corpo, coi propri gesti gli esatti contorni dell’immagine raffigurata, se lo mise in grembo.

E attraverso l’opera d’arte, nella forma perfetta di quel capolavoro artistico di un uomo nato tanto tempo fa, ritrovò la sua dolcezza, il suo sentimento materno, il suo umano sentire. Fu così che attraverso le Opere, cominciò a rinascere la “vita umana” nell’insediamento degli uomini. Grazie a luoghi luoghi segreti chiamati “Scuole” a giovani speciali era stata tramandata la Conoscenza delle Arti, dei Mestieri, delle Scienze. E a loro era stata affidata quella che gli anziani monaci chiamavano “la memoria del mondo”.

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