giovedì 19 marzo 2009
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Non vogliamo santificare House: è dichiaratamente ateo, a tratti flirta con l’idea dell’eutanasia o dell’aborto, e questo non lo condividiamo. Ma sarebbe così stupefacente sentirlo scagliarsi contro la droga o il sesso incestuoso – come avviene con discrezione e ironia in certe puntate –, se fosse un Santo da "immaginetta"? Se avesse l’aureola non colpirebbe lo spettatore quando si fa interrogare dalla manina del feto che sbuca dall’utero aperto, e gli abbraccia il dito della mano, restando poi incantato ore e ore a riguardare quel dito e domandarsi il mistero di una vita nascosta ma presente. È un lavoro in corso, quello che avviene nell’animo di House, e sollecita lo spettatore ad un lavoro proprio perché offre un approccio sofferente e empatico che non dà risposte preconfezionate. A differenza di quanto accade troppo spesso nella realtà, qui il medico non è il “fornitore di un servizio” cui ogni richiesta è equivalente, ma sa riconoscere una buona da una cattiva risposta, sa trovare la forza di non fornire la seconda. House intuba e rianima il jazzista nonostante tutti abbiano paura di trasgredire il suo testamento biologico che chiede di lasciarlo morire. La collega dottoressa Cuddy non è da meno: alla richiesta di House di un’iniezione di morfina, in realtà gli inietta un placebo, sapendo che la droga non è la risposta al dolore e alla solitudine. Anche nei passaggi più inquietanti, quando House indulge verso aborto o eutanasia, non possiamo non restare turbati, ma sentiamo la sproporzione tra ciò che House vorrebbe e quello che, assediato dalla sua solitudine, riesce a fare; in fondo l’uomo solo non può che dare risposte incomplete. Quando finisce la storia di una ragazza stuprata che è arrivata ad abortire, i colleghi cercano di rasserenare House (che ha certo preso parte alla decisione) e gli chiedono perché si preoccupa, in fondo «ha fatto il suo lavoro», ma lui d’improvviso ha un gesto di stizza violento e grida: «Adesso ci raccontiamo che l’abbiamo aiutata... Noi ci sentiamo tanto bravi, ma abbiamo solo fatto piangere una ragazza». House va anche dalla maestra depressa che non vuol più farsi curare e insiste con tutti gli argomenti possibili, fino alle urla, perché non ceda alla tristezza e alla solitudine. Non lo fa perché questa stenda un “testamento biologico”, ma per risvegliare in lei (e in sé!) l’amore alla vita. House sa stupirsi: sbaglia, digrigna i denti, ma sa riconoscere l’umano quando lo incontra. L’idea che le storie di House contengano un messaggio esistenzialmente profondo, viene chiarita dalle parole del suo autore, David Shore: «C’è un sottofondo filosofico nello show, un’opportunità di parlare della vita e di come viverla. Penso che i buoni show debbano trattare di dilemmi etici e di questioni di etica. Le storie di successo gettano il personaggio in situazioni in cui giri a destra o a sinistra. E qualcosa di brutto accadrà se vai a destra, ma accadrà qualcosa di brutto anche se vai a sinistra: quale soluzione è la peggiore? Questa serie ha molti di questi momenti, ed è una grande opportunità, ma produce anche delle nuove possibilità per la mia personale visione del mondo». È una sorpresa quando il protagonista (l’eroe) di una fiction è un tipo decisamente cinico. Qui sta la genialità di chi ha creato la serie di House: non essere scontato ma proporre un itinerario eticamente buono usando le parole, le immagini, e anche le debolezze umane che normalmente veicolano ben altro tipo di messaggi. Perché “una strana morale”? Perché è una morale che “non fa la morale”. Con i suoi aforismi, i suoi apologhi, con le sue idiozie e le battute dei colleghi di House, questa serie riafferma dei valori forti e fermi, pur con le sue contraddizioni, col suo cinismo e il suo ateismo urlato (ma solo per darsi un tono, molto probabilmente). In fondo la morale non è solo escatologia, ma anche riaffermare la verità sull’uomo. Attenzione, comunque: House è un “cattivo”, è cinico. Ci è richiesto uno sforzo per superare l’impatto con questi comportamenti negativi, per arrivare a capire il messaggio principale della fiction, non fermarsi a quello che si vede, ma fissare il punto decisivo: il cambiamento e lo stupore di una mente cinica. Certo, se volessimo sintetizzare in una frase il pensiero di House non potremmo altro che ripetere il suo famoso aforisma: «Tutti mentono». Ma dovremmo anche capire che dalla serie emerge la spiegazione a questa frase: «tutti mentono» perché tutti hanno paura. E il telefilm invece di essere un elogio alla bugia è una pietra scagliata contro la paure, perché ne mostra limiti e orride conseguenze patologiche. David Shore, creatore e sceneggiatore della serie, usa House a questo fine. Qualche volta usa House, altre volte le forti condanne della paura vengono da altri personaggi della serie, come quando di fronte al cinismo di House, una ragazza stuprata grida «Ogni vita è sacra!», o quando la collega, cui domandano a proposito di una bambina che perderà un braccio «che qualità di vita avrà», risponde «la vita ha sempre delle qualità».
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